Regia di Takashi Miike vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 2017 - FUORI CONCORSO
Manji è un abilissimo ronin dal volto ridisegnato da una profonda ferita che gli percorre l'intero connotato facciale che, dopo aver sgominato da solo oltre cento contendenti di una gang rivale capitanata da un noto samurai, viene avvicinato da una misteriosa vecchia signora di bianco vestita, che pensa di ricompensarlo - ferito e stremato come si ritrova dopo l'incessante duello, con il dono dell'immortalità: questa vierù gli viene donata attraverso l'ingerimento di particolari sanguisughe che, vivendo all'interno del suo stomaco, ne bloccano completamente i processi di invecchiamento, assicurando altresì una rapida ripresa da eventuali ferite anche mortali a cui il corpo può cader vittima.
Man mano che il suo percorso esistenziale continua imperterrito impedendone la vecchiaia, l'uomo, venuto a contatto con altri individui dotati della sua stessa virtù, comincia sempre più ad intuire che la sua caratteristica si sta trasformando da una virtù inizialmente assai gradita, ad una maledizione.
L'incontro casuale con la piccola Rin Asano, figlia di un noto titolare di una scuola di addestramento per samurai, unica sopravvissuta allo sterminio della propria famiglia ad opera dello spietato capo di una gang rivale, l'impassibile e crudele Ittoryu, spingerà l'uomo, compassionevole anche senza darlo a vedere, ad esaudire i desideri di vendetta della bimba, fermamente intenzionata a rendere giustizia agli amati genitori.
Per questa coppia poco ordinaria e fuori da ogni schema, inizierà un percorso inframmezzato da combattimenti e sangue, in grado di farli maturare entrambi.
Da un noto manga di Hiroaki Samura, già oggetto di una versione cinematografica a cartoni a cura di Koichi Mashimo, il prolifico ed inesauribile Takashi Miike trae un film di cappa e spada piuttosto suggestivo, presentato Fuori Concorso a Cannes 2017. Splendido incipit duellante in una lunga scena in bianco e nero, davvero suggestiva. Seguono combattimenti a raffica, coreografati con eleganza e una padronanza della macchia da ripresa che ne impedisce la ripetitività, quasi il maestro giapponese filmasse la grazia di un balletto classico.
Forse un po' lungo nel suo concitato dispiegarsi, la pellicola tuttavia risulta un buon film di intrattenimento, girato con la classe e l'esperienza di un maestro indiscusso.
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