Regia di Olivier Babinet vedi scheda film
CANNES ACID 2016 – MY FRENCH FILM FESTIVAL 2018
Nella “banlieue” parigina sconosciuta a quasi la totalità dei francesi “doc”, una decina di ragazzi, di età che varia dalla pubertà all’adolescenza, di razze eterogenee ma medesima estrazione sociale, si raccontano sulla base di quelle che sono le esperienze di vita nel sobborgo che li accoglie (si fa per dire), ma pure i sogni, le prospettive, ma anche il proprio personale modo di intendere vari aspetti della vita che li circonda e della società – condizionata e condizionante - che li comprende, coinvolge, assoggetta.
Quartiere generale del racconto, è un quartiere popolare tutto palazzoni-formicaio costruiti per condensare acriticamente uno strato sociale che non è sempre direttamente amalgamabile, e che gli abitanti del loco non hanno scelto, ma in cui si sono trovati a nascere, o ad andare a vivere con le proprie famiglie di modesta estrazione sociale.
Scansando abilmente ogni forma di patetismo e di autocommiserazione, il bravo regista Olivier Babinet, dirige benissimo e con estro da action-movie, un documentario contaminato da disparati generi cinematografici: si spazia con naturalezza e d estrema disinvoltura dal musical ad addirittura una sorta di tentazione fantascientifica, nel momento di far descrivere, da parte di una bambina matura e profonda piena di idee e pensieri circostanziati, un prossimo futuro dominato da droni e robot in ogni applicazione che venga in aiuto all’incedere umano nella quotidianità.
Ed intreccia i pensieri di vita del giovane abitante-tipo della periferia come non lo abbiamo mai visto rappresentato sino ad ora: intelligente, colto, preparato, in grado di esprimersi con sensibilità anche quando le parole vengono meno, e trasferendo allo spettatore, proprio grazie a questa sensibilità palpabile e di rara concretezza, la contagiosa inebriante volontà di applicarsi concretamente affinché i sogni – materiale impalpabile, libero ed azzardato, ma gratuito e fino ad oggi non sottoposto a censura né limitazione – possano trasformarsi in realtà.
Il film concatena, e districa con criterio scenico motivante, un insieme di ritratti vivi e positivi, dove l’entusiasmo contagioso e l’ottimismo, ma soprattutto l’orgoglio di sapere cosa “voler fare da grandi” e la forza di industriarsi a cercare di realizzare i propri desideri anche più complessi ed avveniristici - giungono a rinfrancare la visione e a conferire un ritratto di borgata differente e innovativo, lontano da facili e risaputi cliché troppe volte rappresentati ed utilizzati impropriamente, o a scopo ricattatorio al cospetto del film.
In tal modo Swagger – ovvero spavaldo, disinvolto, alla moda, dal portamento fiero – tutti aggettivi, anzi situazioni coerenti con il modo di essere dei ragazzi che in essi ne raccontano le proprie testimonianze - brilla di un ottimismo concreto e tutt’altro che farneticante, ed il film si illumina di un ritmo e di uno stile visivo, di colori e sfumature che risultano non semplicemente accattivanti, ma vivi e lucidi, intelligenti e costruttivi come la decina di giovani tenaci e profondi protagonisti che in esso splendidamente si raccontano fino a scoprire intimità e sfumature davvero inedite e forti.
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