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Viva la muerte... tua!

Regia di Duccio Tessari vedi scheda film

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La recensione su Viva la muerte... tua!

di scapigliato
8 stelle

Senza infamia e senza lode Duccio Tessari firma un nuovo tortilla-western, più sulla scia del “Giù la Testa... Coglione!” di Leone che dei precedenti corbucciani. Anche perché proprio il nome di Corbucci era meglio che non aleggiasse sul set. Leggenda vuole, infatti, che Franco Nero, attore feticcio di Corbucci da “Django” in avanti (poi subentrò Castellari) avesse col suo mentore un contenzioso risalente al precedente “Vamos a Matar Compañeros!”. Così il film, che doveva essere diretto da Corbucci, passò al più mite e ironico Tessari che infatti lo confeziona in direzione opposta a quella del regista iperrealista per antonomasia. C’è molta commedia infatti nella modulazione picaresca del viaggio messicano dei due protagonisti, e le scene che potevano essere dure, crude e violente restano nell’immaginazione dello spettatore, come la morte di Marilù Tolo e del piccolo figlio e la morte finale del cattivo Horst Jason bruciato vivo, più altre “cattiverie” sparse per strada. Ma il film è comunque godibilissimo, e dei quattro western di Tessari, “Zorro” escluso, questo è uno dei migliori, sia per la storia e la resa visiva, sia per i due attori protagonisti. Mentre Franco Nero fa la simpatica canaglia, il grande Eli Wallach rinnova il suo Tuco leoniano e c’entra il bersaglio. Dopo il “brutto” e il Cacopulos de “I Quattro dell’Ave Maria”, arriva questo Lozoya simpatico, burbero, picaresco, godereccio, animalesco, reso con un istrionismo professionale che non fa rimpiangere le due gloriose interpretazioni precedenti. L’attore preferito da Kazan, già reduce da ruoli cattivi nel western hollywoodiano, trova nei messicanacci rudi e pasticcioni, ma teneri e dal cuore buono dello spaghetti-western i suoi ruoli migliori (però Cacopulos è greco). Porta con sé la lezione dell’Actors Studio e sui set italiani fa l’americano “nato imparato”. Campione di gigioneria d’autore, Wallach è il segno rozzo del tratto sovversivo della matita del suo demiurgo: lui stesso. Autore di sé stesso è infatti capace di imporre la via dell’esagerazione istrionica senza sfigurare negli approcci più interiori. Un gran signore del western all’italiana, la cui presenza ha sempre rischiato di oscurare i comprimari.
Il film, che narra di due banditi senza scrupoli alla ricerca di un tesoro nascosto a Piedras Negras in Messico e costantemente disturbati da Lynn Redgrave giornalista irlandese, è costruito su un’idea visiva fumettistica, e il regista lo popola di volti e caratteri che col fumetto sono imparentati radicalmente. Tipi sulle righe, eccentrici, grotteschi e pure comici, si muovono come atomi impazziti in una sceneggiatura molto buona nel primo tempo, ma fiacca verso la fine, quando alla picaría dei due protagonisti si sostituisce l’azione di battaglia verso i rurales. Considerato come la brutta copia di “Vamos a Matar Compañeros!”, il film di Tessari ha però dei pregi che vanno evidenziati per recuperarne il valore. Dapprima la completa distanza tra i personaggi e la gloriosa Revolución. Infatti, solo alla fine, e neanche per molto, il Lozoya di Wallach prende consapevolezza della lotta del popolo contro i padroni tiranneggianti. Ma poco dopo riprende la via del banditismo con l’amico Franco Nero alias lo Zar. Il breve contatto con le cause rivoluzionarie è però centrale nella narrazione, e non è un passaggio obbligato reso alla meno peggio. Anzi, si vede proprio che Tessari ha voluto suggellarlo nella memoria visiva dello spettatore inquadrando efficacemente dal basso i due protagonisti mentre si confrontano su questioni opposte. Questo svela quella che oggi diremmo l’antipolitica del tortilla-western, ovvero due apolitici come i personaggi di Lozoya e dello Zar che contribuiscono alla rivoluzione dal basso, conoscendola attraverso i fatti di sangue che sporcano un intero Paese, senza quindi essere degli attori di tale rivoluzione come, a diversi livelli, il Lou Castel e il Gian Maria Volontè di “Quién Sabe?” o proprio i due personaggi di Franco Nero in “Vamos a Matar Compañeros!” e “Il Mercenario”. Centrale nel film, quindi, non è la Revolución, bensì il viaggio picaresco e le varie avventure dei protagonisti, tutte mutuate da idee visive davvero notevoli. Il film è tutto costellato da queste idee, e grazie all’iconografia davvero evocativa riesce in più occasioni a inclinarci il cuore: l’arrivo dei peones alla miniera per salvare Wallach e Nero dai rurales, e l’incontro del Lozoya di Wallach con la sorella muta e il di lei figlio Miguelito. Ma anche tutta la sequenza della sparatoria alla miniera, vuoi per l’ambientazione dalla set decoration azzeccatissima e suggestiva, vuoi per l’intuizione registica nelle inquadrature e nel montaggio, resta davvero una pagina notevole del film. Non un capolavoro nel suo insieme, perché il tortilla-western non solo è esigente in sé ma ha pure dei precedenti illustri insuperabili, ma “Viva la Muerte...Tuya!” è ugualmente un film pieno zeppo di idee, intuizioni, volti e immagini leggendarie.

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