Regia di Spike Lee vedi scheda film
Dimenticate lo Spike Lee impegnato, ma ricordate i guizzi nevrotici, gli accenni iper-realisti delle sue pellicole precedenti, in particolare la realtà più vera del vero di Do the right thing. Questo film del regista nero, unanimemente considerato minore, è forse più easy degli altri, più leggero, ma non per questo meno riuscito. Partendo da un fenomeno di costume, il proliferare, negli anni '90, delle linee erotiche, Lee mette in scena la difficoltà di una certa generazione a costruire e vivere relazioni serene, intrappolata com'è nelle distorsioni che provocano le paranoie personali. Un film sul vuoto e sulla superficialità delle relazioni (tanto che uno dei pochi rapporti che funziona è quello di vicinato basato sui soldi tra la Randle e Lee): solo in questo senso possiamo definire lo sguardo di Lee morale, e non di certo moralistico. Ma qui c'è anche molto di più: c'è lo svelamento divertito e non certo privo di un po' di sana autocritica alla comunità nera (con i suoi riferimenti culturali come Foxy Brown e la sit-com dei Robinson, ricreati per l'occasione), c'è la riflessione di Lee sull'industria del cinema (con i divertenti camei di Tarantino nella parte di se stesso e di Turturro in quella di un agente), della musica e della moda (Madonna e Naomi Campbell). Musiche, non particolarmente memorabili, di Prince. Prima parte superiore alla seconda, in particolare al finale, forse un po' sotto tono, ma comunque in linea al pensiero di Lee: nulla cambia, perché le persone non riescono a cambiare, sono ingabbiate nel loro passato, nel presente e in ciò che pensano e sperano del loro futuro.
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