Regia di Umberto Lenzi vedi scheda film
Non spariamo sulla croce rossa. Il film di Lenzi non sarà all'altezzi di tanti altri suoi precedenti, ma l'interpretazione di Milian è sempre superiore, gigantesca, incredibilmente generosa. La storia, come era plausibile dal passaggio dal western al poliziesco, ha molto a che vedere con i cugini dello spaghetti: tre banditi fanno un colpo (o una rapina), ma tre di loro crecano di far fuori il più pericoloso, appunto il Gobbo (variante dei banditi che dopo il colpo si fanno la pelle a vicenda). Il regolamento dei conti arriva regolarmente, e neanche in modi estremamente violenti come il genere e il regista ci hanno abituati. Tant'è che sia nello svilpuppo narrativo e nelle idee cinematografiche, abbastanza carenti, e grazie soprattutto ad una triste performance di un violento criminale sul viale del tramonto, il film è parecchio, se non visceralmente, crepuscolare. Questo freak coatto de no'altri, portato in vita per la prima e inimitabile volta nel '76 con "Roma a Mano Armata", è lievemente feroce, ma la sua rabbia che sfocia in violenza, la vediamo contratta nelle smorfie e nelle gigionerie del grande Tomàs Milian, che non dimentichiamolo ha fatto l'Actor Studio, e come il grande Kinski ha concesso la sua arte ad un tipo di prodotto su cui si sparava, e si spara ancora, con piacere. Nonostante ai tempi erano film commerciabilissimi e dai grandi introiti.
Rimane, in "La Banda del Gobbo", il rammarico di una certa assenza di idee, ma la performance di Milian, come criminale finito che con orgoglio va avanti coatto per la sua discutibile strada (e credo che non sia veramente morto nel film), addizzionata allo sdoppiamento con Er Monnezza (anch'egli sulle righe), sia una performance dignitosa, a tratti commovente, come la lettera che scrive al fratello.
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