Regia di Edoardo Falcone vedi scheda film
La commedia italiana non si reincarna mai. Sempre uguale a sé stessa – solo sporadiche, rare, inevitabilmente irrilevanti le eccezioni –, si riproduce come il più infallibile, insaziabile delle specie ermafrodite.
Altro che Questione di karma (o altri termini e tomi esotici buttati a caso come esca per molluschi nel maelstrom delle pretestuosità e delle banalità): dev'essere sfiga. O meglio: è quello che ci meritiamo, evidentemente.
E allora, l'ultima “fatica” di un campioncino del genere – Edoardo Falcone, già sceneggiatore di autentiche perle quali Confusi e felici, Stai lontana da me, Mai Stati Uniti e qui alla sua opera seconda da regista, dopo Se Dio vuole – si limita a riproporre, con “furore” impiegatizio, dettami e usi e costumi di una normativa di cui si conoscono, a memoria, nostro malgrado, articoli, codici(lli) e disposizioni di attuazione.
La formula della 'strana coppia' – toh, che guizzo, che inventiva! – prevede, questa volta, la vaga, vaneggiante variante dell'incursione nei territori (nemmeno lambiti, ovviamente: soltanto “visti”, di sfuggita, su google maps) del noto credo indiano di cui al titolo.
Protagonisti: Fabio De Luigi, di famiglia facoltosa, poliglotta, studioso umanista, timido, buono e ingenuo oltre i confini della realtà – l'interdizione legale sarebbe atto dovuto, altro che –, ascetico, un po' abbacchiato; Elio Germano, truffaldino, male in arnese, agitato e casinista, viscido e profittatore, ma in fondo in fondo (cioè alla fine, quando cristiana redenzione giunge) anima bella.
Il primo, traumatizzato dal suicidio del padre quando aveva quattro anni, crede – poiché imbeccato (da Philippe Leroy, scovato in un borgo sperduto che però è riconoscibilissimo, al quale strappa generalità e località del reincarnato; ci vorrà il finale per “svelare” il “colpo di scena”: che tristezza) – il secondo l'anima trasmigrata del genitore.
Oibò, basta farsi un'idea in base a siffatta sinossi e si ha già in mente il “film”: sì, è quello. Proprio quella roba che pensate.
Schemi narrativi e stereotipi e dispositivi “umoristici” (non un singolo frammento che strappi un seppur vago forzato sorriso) come non ci fosse un domani né un dopodomani né una rinascita in altri panni.
L'unica “novità” (leggi: “trovata”), semmai, è rappresentata dall'utilizzo di un attore fuori dal giro, in ben altre faccende impegnato, quale è Elio Germano. Contrapposto al noto frequentatore De Luigi che recita in “sottrazione”. Nemmeno questa è originale, ma tant'è.
Il buon Elio ci mette faccia e volontà: non basta, ci mancherebbe (si sarà pentito? Questo è l'unico vero tema di Questione di karma).
L'inutile, vacua sarabanda di ingredienti leggeri, intermezzi “riflessivi”, dinamiche di coppia, moraline di accatto, partecipazione dei comprimari (Stefania Sandrelli impresentabile, Daniela Virgilio accessoria, purtroppo; e i bambini, il vicino vittima-spalla, la sorella stronza che cambia idea in un nanosecondo, l'antiquario criminale …) si traduce in una consistenza così loffia da scatenare l'irritazione.
La sciatteria generale (messa in scena, direzione degli interpreti, scelte musicali ed estetiche) e la frivolezza d'intenti ed effetti le si mettono in conto, rassegnati; la ridicolaggine di una sceneggiatura traboccante lacune e pressapochismi, scritta coi piedi (di un altro, che nella vita precedente probabilmente era analfabeta e monco), molto meno.
Poco male. Un'altra stupidissima commedia. Da rigettare nel dimenticatoio già in questa vita, figurarsi nella prossima.
Spiace, tuttavia, vedere una Isabella Ragonese malissimo sfruttata, sprecata oltre ogni dire, di cui si ricorderanno, alla fine, le mise (decisamente sexy: ma fatele recitare battute decenti) di donna in carriera.
Finale, degno, all'acqua di rose. Di plastica.
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