Regia di Trey Edward Shults vedi scheda film
Ancora un falso horror che vorrebbe pontificare sull'egoismo della razza umana. Peccato che tenti di fare spicciola morale senza alcun preambolo ai fatti, e con un finale pressoché visto migliaia di volte. Impropriamente premiato con una valanga di nomine e riconoscimenti.
Paul (Joel Edgerton) sopravvive ai margini della civiltà, con la famiglia composta dalla moglie Sarah e dal figlio Travis. Una misteriosa epidemia, con effetti devastanti sui contagiati, nell'arco di sole ventiquattro ore induce ad una terribile morte. Isolati nel bosco, dopo aver provveduto a bruciare i resti del nonno Ben, i superstiti subiscono un'intrusione: si tratta di Will (Christopher Abbott), un altro padre alla ricerca di acqua da portare a moglie e figlio. Le due famiglie decidono di unire le forze, finendo per condividere la stessa casa. Will può garantire cibo grazie al possesso di galline e capre, mentre Paul non ha problemi d'acqua.
Una brutta moda recente prevede che le sceneggiature horror (o pseudo tali come in questo caso) siano prive di un punto di partenza. Pertanto le risposte a come, perché e quando sono tutte negate. Anche qui Trey Edward Shults sceglie questo tipo di impostazione, già malfunzionante in una valanga di horror precedenti (inarrivabile Death within, 2014) e contemporanei (al limite della sopportazione A quiete place, 2017). La cosa fastidiosa è che tutto il film ruota attorno ad un canovaccio sintetico e quindi per nulla in grado di favorire un ritmo meno che soporifero. Nell'arco di novanta minuti, fatta eccezione per una subliminale scena drammatica iniziale (il rogo del patriarca) e una -altrettanto sintetica e drammatica- conclusiva, It comes at night si arrampica sugli specchi con sei protagonisti persi nel silenzio del bosco, e ovviamente prolifici in dialoghi caratterizzati da estenuanti OK (It's ok! The World is at the end but... yes, everything will be fine). Nell'opera non c'è traccia di questioni etiche, e cade nel patetico il tentativo di dare un taglio sociologico al twist finale.
Ma ammesso (e non concesso) che Trey Edward Shults fosse consapevole (o volesse) puntare così in alto, il risultato sotto agli occhi di chi ha la pazienza di vedersi interamente il film, è di una piatta e poco convincente realizzazione. Pur se gli interpreti si dimostrano molto capaci, elogiando anche la bella fotografia, It comes at night (titolo peraltro evocativo ma non rispondente al contenuto) è il classico buco nell'acqua, o dozzinale film su una misteriosa e non meglio definita apocalisse. La cosa che più sorprende, in queste consuete -più del dovuto- circostanze con riconoscimenti e/o candidature da parte della critica ufficiale (addirittura vanta una fantascientifica nomina come candidato per il miglior horror del 2017) è il fatto che, ancora una volta, si vorrebbe spacciare per horror (ovvio: il genere incassa) un film che si ferma al dramma, genere peraltro sfiorato con abbondanza di noia. Una delusione cocente sia per mancanza di una storia che possa coinvolgere, sia per un finale ancora più scontato e in grado di far percepire i novanta minuti spesi nella visione come persi nel vuoto, gettati nel nulla.
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