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Il mio nome è Thomas

Regia di Terence Hill vedi scheda film

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La recensione su Il mio nome è Thomas

di scapigliato
8 stelle

Diciamolo, Terence Hill non è mai stato un buon regista, e come attore, per parafrasare l’amico Bud, è sempre stato piuttosto un “personaggio” e non un attore in senso stretto. Ma la maschera può più della scuola stanislavskijana e la storia del cinema ce lo insegna. Icone come Clint Eastwood, Charles Bronson e i nostri Bud Spencer e Terence Hill sono immortali proprio perché maschere. Così, tra il “personaggio” Terence Hill e una cura cinematografica per i dettagli, le inquadrature, il montaggio e il testo, molto più matura e professionale, Il mio nome è Thomas è davvero una bella sorpresa.

All’alba degli 80 anni, Terence Hill chiude il cerchio e torna là da dov’era venuto – anche se in realtà, prima degli spaghetti-western, già lavorava per il cinema italiano, prima, e poi per quello tedesco, in western girati in Croazia e tratti da Karl May. Questo ritorno a un terra mitica come quella almeriense in cui si originò il western italiano che tanto diede anche a quello americano, in termini di innovazione tematica e linguistica, e che oggi è ancora il modello estetico di riferimento per molti film western di nazionalità varie o per film di altro genere che però si rifanno all’immaginario ideato da Leone, Corbucci, Parolini, Tessari, Vancini, Castellari, Questi, Valerii e Sollima tra i tanti, è un ritorno nostalgico, ma non lacrimevole. Terence Hill, a parte qualche superficialità del testo come la precipitosa definizione del personaggio femminile di Veronica Bitto che acquista spessore via via che ci si immerge nella trama, si può dire che non sbagli un colpo. Siamo lontani dalla messa in scena televisiva delle fiction italiane e nonostante qualche scena sia un po’ arrabattata e arrangiata alla meno peggio, come l’investitura dei frati e il primo incontro con Lucia, il film è curato con cognizione di causa e oltre alla coerenza narrativa notiamo anche una coerenza linguistica, fatta di molti piani totali e lunghi, movimenti di macchina leggeri e fluidi e un’armonia di montaggio che permettono di seguire la storia serenamente coinvolgendo lo spettatore proprio perché viene accompagnato per mano nella narrazione.

I pregi di Il mio nome è Thomas non finiscono qui. Infatti Terence Hill è presente in tutta la sua iconicità. Innanzitutto, il suo personaggio non ha nome. Lo conosciamo di spalle – tipica presentazione dell’antieroe western leoniano – mentre esce da casa sua, una casa di montagna, circondata dalla natura e dagli animali – altro topico del personaggio Hill. In seguito lo vediamo passare da un convento, essere riconosciuto da un vecchio amico frate, ma senza essere nominato. I frati sanno che deve partire e lo investono un po’ grottescamente come Don Quijote dandogli però nome Thomas, da Tommaso che “vede per credere”. Alla fine, a cavallo di una grossa moto, Terence Hill parte per l’Almería, dando un passaggio a una ragazza problematica che le farà compagnia.

Molti sono i referenti iconografici legati alla figura di Terence Hill che troviamo nel suo ultimo film. Oltre all’assenza di nome e identità precisi e alla moto al posto del cavallo, ritroviamo la padella di fagioli con cui spadellare i cercagrane, la siesta svaccato sulla sedia con i piedi incrociati e il cappellino calato sugli occhi, l’amore per gli animali – molto presenti nel film, compresa una reale cabra montés passata involontariamente sul set e filmata a tradimento – e quell’ironia smargiassa da simpatica canaglia che ci ha sempre fatto impazzire. Inoltre, c’è tutto l’immaginario di base del suo personaggio tipo, come il western e la scazzottata. Il primo rivive proprio nel Desierto de Tabernas, l’unico deserto europeo, dove si giravano i nostri gloriosi spaghetti-western e dove venivano pure gli americani a girare i loro film. La seconda è una rivisitazione nostalgica delle vecchie scazzottate di tanti film della coppia Spencer-Hill, qui purtroppo senza più il grande amico Bud. Una scena in cui, oltre all’ironia picaresca risfoderata da Terence Hill dopo troppi anni di tonaca ecclesiastica, l’attore se la cava egregiamente sfoggiando un’ottima agilità e una preparazione fisica straordinaria.

Il pezzo forte del film, comunque, resta il deserto. Ma non un deserto a caso. Il film non avrebbe avuto lo stesso valore iconico, la stessa poetica della nostalgia, lo stesso valore storico e immaginifico se fosse stato girato altrove. Il Desierto di Tabernas è il luogo di nascita di attori e registi che con gli spaghetti-western o hanno iniziato una carriera di tutto rispetto o hanno svoltato una carriera cominciata in tutt’altro modo e in tutt’altre direzioni, proprio come Sergio Leone e Clint Eastwood. Un luogo mitico e non solo. Infatti, per me, il Desierto de Tabernas e l’altra area semi-arida annessa, il Parque Natural de Cabo de Gata, sono luoghi magici. Il deserto, si sa, è magico di suo, finanche mistico, ma solo chi ha vissuto quei luoghi sa cosa vuol dire “rivederli” e “desiderarli”.

Una svolta narrativa importante è infatti quando Terence Hill, arrivato in Almería, rivede dopo un numero imprecisato di anni, o forse vede per la prima volta, il deserto. Non ci è dato conoscere la storia pregressa del personaggio, altro merito del film che ne potenzia l’aura mitica e quindi non sappiamo qual è il legame tra Thomas e quel preciso punto del deserto. Nello specifico, Thomas trova due case di legno, due baracche, due capanne abbandonate in mezzo alla pietraia, alla sterpaglia, alle rocce del deserto.

Le baracche in questione non sono vecchi ruderi di vecchi set cinematografici come ce n’erano molte sparse qua e là tra gli anni ’80 i primi Anni Zero. In realtà sono state costruite appositamente per il film, interpretando il ruolo di vecchio set cinematografico, probabilmente in zona Las Salinas, una piccola meseta tra Rambla Lanújar e la statale A-92 che porta a Granada, ovvero il cuore del Tabernas cinematografico. Al loro interno vive un guizzo di altrove, tant’è che convivono sia oggetti e mobili western, sia la “finzione” della scenografia con travi, pannelli scrostati, etc. Un altrove vero e proprio che è realmente esistito tra gli anni ’60 e ’80 prima di diventare archeologia cinematografica, o come preferisco dire io, monumenti di un’architettura locale tanto quanto cortijos, norias e aljibes. I vecchi set western sono davvero parte fondamentale del paesaggio almeriense. A questo si deve lo stupore del personaggio che vuole isolarsi nel deserto a leggere Carlo Carretto, ed è anche il nostro stupore, il mio sicuramente. Uno stupore per la semplicità e l’essenzialità che il mondo di oggi ha perso.

In questa sequenza di svelazione magica, Terence Hill trasmette attraverso il suo iconico sguardo azzurro tutta la felicità di un uomo davanti a un sogno, a un mistero svelato. Insognazione, mistero, svelazione, magia, non sono infatti termini usati a caso. Un altro pregio del film è di saper introdurre il fantastico con leggerezza, senza appesantire la trama e senza risultare posticcio e fuori luogo. Il film possiede infatti uno sguardo contemplativo, a tratti surreale, a cui Terence Hill non ci aveva abituati. Questi pochi e contati elementi fantastici, inseriti nella trama realistica, permettono al film di essere visto anche come una sorta di inconsapevole e riuscita prova di realismo magico italiano.

Ringrazio quindi Terence Hill perché con Il mio nome è Thomas – il cui sottotitolo e titolo di lavorazione Me ne vado per un po’ è bellissimo e chiosa dialetticamente la poetica del “personaggio” Terence Hill, uomo mite e profondo – posso finalmente spiegare a famigliari, amici, colleghi e conoscenti perché ogni anno dal 2005 ad oggi torno sempre là, in Almería, a cercare il deserto, le praterie, le sterpaglie, le spiagge vergini e primitive del Cabo de Gata. Terence Hill in questo film fa esattamente quello che faccio io dal 2005, passa dagli stessi luoghi, si ferma negli stessi posti, contempla lo stesso paesaggio. Anzi, lui riesce pure a fare qualcosa che ho sempre voluto fare: vivere un periodo nel deserto in una di quelle baracche di legno. Purtroppo però, non si può. Ma grazie a Il mio nome è Thomas, ho potuto sognare anch’io ad occhi aperti questo piccolo desiderio – questa “mancanza di stelle” – e posso anche spiegare perché torno sempre là. Basta dire, a chi mi chiede, di vedersi Terence Hill in Il mio nome è Thomas.

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