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Muito Romântico

Regia di Melissa Dullius, Gustavo Jahn vedi scheda film

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La recensione su Muito Romântico

di OGM
6 stelle

Molto romantico. Come un viaggio d'arte e d'amore. Come un'avventura poetica. O come il disincanto.

Approdo. Arrivare al punto è come perdersi. Si può viaggiare sognando il futuro, e non sospettando che, alla meta, ci aspetta una passato irrisolto, che continua a navigare disordinatamente nel presente. Due cineasti brasiliani attraversano l’oceano per trasferirsi a Berlino. Hanno la macchina da presa pronta per filmare quella città mai del tutto morta, mai veramente rinata, che continua a mostrare al cielo le sue viscere rivoltate e ricche di mistero. La storia, su quelle case, lungo quelle strade, sembra sia passata con l’aratro, per darci la dimostrazione pratica di come gli eventi si susseguano come sedimenti stratificati, che si adagiano uno sull’altro, ma prima o poi riemergono in superficie, infrangono la crosta terrestre, e, mescolandosi, ne cambiano creativamente il volto. Il tempo non è fermo, ma lascia una traccia profondamente incisa nello spazio: le pareti non si liberano dalle loro scritte, dalle loro macchie, dalle parole che sono rimaste prive di senso. E sono tanto più importanti quanto sono antiche, come i diari di tanti anni fa, che sono i soli ad avere un valore. Ieri e oggi sono i giorni senza spessore, in cui gli istanti si immobilizzano alla ricerca del filo logico che è partito avvantaggiato, da molto lontano, non badando alle minutaglie ingigantite dal presente. Se l’amore è fatto di attimi, sarà il primo a soffrire di questo vento che ne spazza via le temporanee suggestioni, abbandonandolo ai suoi perché denudati di ogni emozione.  Gustavo e Melissa presto si rendono conto di non possedere niente più che uno sguardo, che congela nella sua fissità anche il pensiero. Intanto, però, la realtà circostante gioca ad andare avanti e indietro, come se loro non ci fossero, come se fossero maschere o fantasmi, ospiti di un’illusione in cui solo gli altri sembrano divertirsi. A loro resta il fastidioso compito di capire, di registrare, di raccontare,  inchiodati alla loro estraneità, costretti a far da tappezzeria nella festa di un mondo in cui credevano di essere loro i poeti, gli artisti, i trasgressori, gli osservatori romantici e profondi in grado di tuffarsi con l’immaginazione negli abissi marini come nelle sfere celesti. L’umanità, in preda alla sua solita, inquieta banalità,  li batte su tutti i fronti, compreso quello estetico: un campo in cui il loro genio non riesce ad entrare, refrattario com’è alle sfide del minimalismo destrutturato delle macerie, della terra battuta, delle memorie impresse nel cemento, che, con la loro algida scala di grigi, sospingono via le ombre infuocate del mitico Sturm und Drang. La commistione selvaggia vince su tutto, a furia di distruggere e rifare daccapo, azzerando le culture per ricostruire un tutto caotico e indifferenziato, in cui le regole non funzionano più, a cominciare dalle rigide geometrie del rapporto amoroso. La coppia è un marchingegno ingombrante e obsoleto. La moda del momento è una solitudine variamente tinta di promiscuità, che spiazza le menti affezionate ai progetti.  Questo film prova a comunicarci il disciplinato sconcerto di chi era convinto di potersi immergere nel vorticoso moto della modernità come un danzatore che partecipi a un minuetto: ma la sequenza dei passi non è più quella dettata dai canoni. Il ballo è divenuto un movimento ispirato a una, mille idee che vengono da chissà dove.  Non rimane allora che ritornare a casa, con la dovuta lentezza, al ritmo dei gesti misurati che disegnano archi di luce in un perfetto paesaggio notturno.  

 

scena

Muito Romântico (2016): scena

 

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