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Grizzly l'orso che uccide

Regia di William Girdler vedi scheda film

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La recensione su Grizzly l'orso che uccide

di scapigliato
8 stelle

Lo Squalo dei prati e boschi. É proprio sul successo, e dopo la nuova fenomenologia cinematografica inaugurata da Spielberg e dal suo squalo assassino che codifica il genere una seconda volta dopo “Gli Uccelli” di Alfred Hitchcock, che William Girdler confeziona questa pellicola in puro stile animal-attack. Siamo nel 1976, ad un tiro di sputo dalle acque torbide di Amity e fino ad allora un orso non era mai stato la “minaccia animale” di un film. Dieci anni prima, un western metteva i suoi personaggi contro un grosso grizzly in “The Night of the Grizzly”, e sicuramente altre pellicole d’avventura avranno dedicato almeno una scena all’attacco di un grosso e peloso e vorace plantigrado, ma è con il film di Girdler che l’orso fa la sua comparsa nel genere degli animali assassini. Lungi dal demonizzare squali ed orsi, e qualunque altro animale che s’avventa sull’uomo, i due film in questione utilizzano allo stesso modo, anche se con risultati diversi, l’elemento animale per simboleggiare un atavico tema narrativo quanto un polemico discorso ambientale. Infatti, nell’iterloquire con se stesso l’uomo inizia un dialogo con la natura prima, e con il mondo urbano dopo; e gli animali hanno da sempre un ruolo prioritario in questo approfondimento esistenziale sul sé e sull’altro. In più, con i ’70 si sviluppano e si definiscono i movimenti ambientalisti, e il retaggio del boom economico comincia ad essere valutato per quello che è: un male. Prime vittime di questo male, oltre le persone meno abbienti, è proprio la natura con il mondo vegetale ed animale. Ecco quindi che uno squalo che non fa altro che fare lo squalo, ed un orso che non fa altro che fare l’orso, superando a piedi pari la dicotomia Bene/Male, si avventano feroci e famelici sull’essere umano.
Il film di Girdler fa il paio con quello di Spielberg, sia perchè sono i due atti di nascita autorevoli e codificanti dei loro rispettivi filoni (shark-movie e grizzly-movie), sia perchè tra il ’75 e il ’77 non sono poi molte le pellicole del genere. Infatti notiamo un buon numero di film dedicati ad animali di gruppo, come i gatti, veri e propri protagonisti di inizio decennio, ma non altrettanto un buon numero dedicato a predatori solitari come appunto uno squalo o un orso (il coccodrillo arriva nel ’77 con Tobe Hooper). Tralasciando qui la storia del genere, che ho solo accennato senza approfondirne la casistica, è bene dire che il film di Girdler aumenta notevolmente il body-count e mette in un angolo della sceneggiatura tutto quello che non serve. Il primo attacco mortale del grizzly, a danno di due ignare ragazze (il fatto che siano due ragazze non è casuale, e fa parte dei codici del genere “bestiale”), è anche il migliore dell’intero film, se escludiamo quello della donna tirata via di forza dalla sua tenda e quello a scapito di un bambino (finalmente!) e di sua madre. Diciamo che l’estetica è essenziale, scarna, va a sottrarre l’enfasi inutile e lascia visibile i segni sintetici e poveri di una concisa pagina visiva. Le scene sono solo dei diorama di carta dove ben vediamo quello che c’è da vedere, che è poi quello che vogliamo vedere in un film di questo tipo. Gli attacchi infatti si susseguono quasi iperbolicamente, esasperatamente uno dietro l’altro, fregandosene dei veri ritmi naturali, ma questo ci passa anche un’altro discorso: che questo grizzly non uccide per sfamarsi, ma per piacere. Riflessione che lo demonizzerebbe gratuitamente se non fosse che l’orso là già c’era, ci viveva e ci mangiava. Poi è arrivato l’uomo che come sua natura vuole ha dovuto piegare tutto al suo volere, e quei boschi, quelle vallate e quei prati sono diventati suoi e non più della fauna indigena. L’eco-vendetta è quindi tematicamente in agguato, e si nasconde dietro la mastodontica mole e pelliccia di un grosso grizzly, tratteggiato come un semidiavolo per risaltarne la rabbia. Una rabbia che potrebbe più inverosimilmente prendere le forme di un’isteria animale, cagionata all’orso dall’uomo. Gli attacchi, lo strano girovagare della bestia e altri suoi atipici atteggiamenti sono il segnale di un’istintualità deviata, dove la natura è andata in corto circuito per colpa dell’essere umano ed ora, cosciente o no, a lui si scontra. Il linguaggio filmico adottato da Girldler è pertanto funzionale al solo racconto cinematografico, attraverso il quale sono proprio i suoi segni e la sua grammatica a delineare il discorso ultimo del film che, se non è poi quello mica tanto improbabile del puro intrattenimento attraverso l’umana paura per la bestialità, è di sicuro quello di un fiero animalismo e ambientalismo che il regista poi immolerà più compiutamente nel suo successivo lavoro “Day of the Animals/Future Animals”. Il film ha uno sfortunato sequel nel 1987, si dice pure visto da quasi nessuno, “Grizzly II: The Predator”.

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