Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Esempio smagliante di commedia all'italiana, dove una perfetta sceneggiatura ad orologeria offre ad Alberto Sordi l'occasione per una grandissima prova comica, nell'ennesima incarnazione del suo archetipo di “italiano medio”, qui ancora più vile ed abbietto del solito.
Alberto Menichetti (Alberto Sordi) è un impiegato in una fabbrica di cappelli, che vive con due vecchie zie che lo hanno cresciuto sotto la proverbiale campana di vetro (una è Tina Pica!). Personaggio pavido e pauroso, timoroso di venir implicato in qualsivoglia questione con i datori di lavoro, le autorità o altri («Allora me volete incastrà!»), è sempre pronto a prostrarsi di fronte alle richieste di chi percepisce in una situazione di potere, tradendo e pugnalando alle spalle i più deboli. Addirittura annota scrupolosamente su un taccuino tutto quello che fa ogni dato giorno, per poter sempre presentare un alibi. La sua paranoia lo spinge anche a mentire spudoratamente per sottrarsi a qualsiasi ipotetica situazione di coinvolgimento in situazioni problematiche. In ufficio è concupito da una collega vedova (Franca Valeri), ma in realtà è attratto da una giovanissima parrucchiera (Giovanna Ralli), che tuttavia è ritroso ad approcciare per timore di problemi legali, essendo questa ancora minorenne. Una serie di sfortunate coincidenze e, soprattutto, di pasticci da lui stesso combinati lo faranno precipitare nella condizione più temuta, quella di essere sospettato e ricercato dalla polizia per terrorismo.
Commedia magistralmente costruita da Monicelli su una sceneggiatura dello stesso regista e di Rodolfo Sonego che è un congegno ad orologeria che non lascia scampo, feroce e spassosissima dall'inizio (l'incipit con la fuga per non essere chiamato a fare da testimone di un incidente stradale è una perfetta summa del film e del personaggio di Menichetti) alla fine (con una stilettata alle forze dell'ordine) nell'infilare il colletto nella piaga delle meschinerie umane, senza un calo di tensione o divertimento che sia uno. Massimo merito della sceneggiatura è la costruzione di un abilissimo gioco di incastri in cui ogni sciagura/cazzata del povero Alberto ne determina una successiva ancora peggiore: una scrittura che tiene insieme tutte le fila con perfetta e spietata coerenza e fa di questo film un fulgido esempio della commedia all'italiana del suo periodo d'oro.
Una scrittura di questo livello offre ad Alberto Sordi l'occasione per una grandissima prova comica nell'ennesima incarnazione del suo archetipo di “italiano medio” più ricorrente. Lo stesso Mario Monicelli gliene renderà pieno merito affermando: “Alberto Sordi ha avuto la genialità di inventare un personaggio diverso da tutti gli altri comici nella storia del cinema, vigliacco, cattivo, traditore, prevaricatore, che fa ridere essendo una persona abbietta, mentre in genere il comico è buono. E questo l’ha proprio inventato lui, non i suoi registi”. Tuttavia rispetto ad altre pellicole sordiane - anche più celebrate - qui l'effetto comico è moltiplicato dalla scrittura di un personaggio patologicamente pavido che proprio per il suo eccesso di prudenza finisce paradossalmente per mettersi sempre più nei pasticci, affondando nelle sabbie mobili degli equivoci creati dalle sue vigliacche menzogne.
Come diceva Monicelli, Sordi riesce nell'impresa di rendere comunque simpatico un personaggio abietto, pur non condonandone la vigliaccheria: io credo che riderne sia piuttosto una maniera, per lo spettatore, di esorcizzare il timore di avere i suoi stessi difetti, che in fin dei conti sono piuttosto comuni.
E così ci fa scompisciare per come è goffamente mellifluo nell'atteggiamento servile nei confronti del direttore del cappellificio, accettando l'incarico di testare nella vita quotidiana un ridicolo cappello di nuova produzione. Menichetti vuol fare ovviamente il crumiro quando la decisione della direzione di spiare i dipendenti tramite un sistema di microfoni scatena appelli allo sciopero (ma per non inimicarsi neppure i colleghi si dà malato, finendo così suo malgrado su un tavolo operatorio) e si rende protagonista di una continua codarda delazione dei colleghi (notare come questa vigliaccata, che ripeterà al commissariato di polizia, venga accolta con fastidio persino dalle autorità che egli pretende di compiacere).
Ma la più esilarante è la scena della gita al Tevere con una brava, oltre che bellissima, Giovanna Ralli, in cui il vile cascamorto Alberto cambia totalmente atteggiamento allo scoprire che la ragazza è in stato interessante e fidanzata con un gelosissimo borgataro.
Sordi – non bastasse lui - è affiancato da una schiera di interpreti di razza nei ruoli secondari. Franca Valeri, mancata proprio oggi a cento anni appena compiuti, è sempre perfetta comprimaria di Albertone, nel ruolo della donna rifiutata che cerca in ogni modo di accalappiare un uomo e millanta una vita interessante come moglie di un diplomatico per darsi un tono. E poi Mario Carotenuto, una freschissima Giovanna Ralli, una spassosa e reazionaria Tina Pica, Leopoldo Trieste, il regista Alberto Lattuada nel ruolo del direttore del cappellificio ed un giovanissimo Carlo Pedersoli – non ancora Bud Spencer, ma già manesco. La colonna sonora è di Nino Rota - e si sente.
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