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Un eroe dei nostri tempi

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su Un eroe dei nostri tempi

di obyone
7 stelle

 

Franca Valeri, Alberto Sordi

Un eroe dei nostri tempi (1955): Franca Valeri, Alberto Sordi

 

Anni 50. La guerra è finita da dieci ed il Neorealismo che fece la fortuna del cinema italiano è in fase di pre pensionamento. Tira altra aria nel paese. Gli italiani hanno archiviato la guerra e, tra una ristrettezza e l'altra, in attesa del boom economico, hanno un gran desiderio di lasciarsi alle spalle le bombe, il fascismo e la guerra civile. Il cinema, che è pur sempre specchio della società, si adegua e così gli stilemi cambiano. La livida cupezza dei giorni di guerra che ammantava le pellicole dei Dei Sica e dei Rossellini, girate con pochi soldi e ancor meno orpelli, si scioglie sotto i raggi caldi di un sole allegro che mette voglia di cantare, ballare, ridere. È l'epoca della commedia all'italiana che fa capolino tra le macerie della società e del genere nato nel '43 con "Ossessione" di Luchino Visconti. Destinata a divenire l'emblema del ventennio cinematografico successivo sviluppa, proprio agli inizi di questo decennio, le prime codifiche che la renderanno famosa in tutto il mondo. Roma è la città teatro per eccellenza di un genere che sembra nato per risollevare l'animo senza però dimenticare i peccatucci di una società italiana che in fondo non è molto cambiata dopo la fine del conflitto. Gli attori sono spesso una garanzia su cui non si può prescindere, soprattutto se in grado di immedesimarsi in un personaggio da interpretare con poche varianti di film in film.

Alberto Sordi è sicuramente una garanzia di successo, in questi anni '50 di Risorgimento post-bellico, per tutti i produttori e per tutti i registi. Nel '55 quando esce "Un eroe dei nostri tempi" di Mario Monicelli Alberto Sordi ha 35 anni e ben 9 sono le pellicole a rincorrersi in sala. Solo nel '54 (13 film) e nel '59 (10 film) ci fu un maggior numero di pellicole in uscita con Sordi nel cast. Che si punti poi sulle stesse facce negli anni '50 lo dimostra il numero di attori condivisi con la pellicola di Dino Risi "Il segno di venere" che precede il film di Monicelli di pochi mesi: Alberto Sordi, Franca Valeri, Tina Pica, Leopoldo Trieste. Le quasi coetanee Giovanna Ralli e Sophia Loren, invece, si scambiano i ruoli nel celebrare l'immaginario dell'homo italicus con due personaggi procaci e ingenui spesso vittime dei "peccatucci" di cui si diceva. Il film di Monicelli li evidenzia tutti nella persona di Alberto Menichetti, impiegato di una cappelleria tanto bravo a parole quanto vigliacco e pusillanime nella vita concreta. Menichetti fa il filo alla giovanissima Marcella (Giovanna Ralli), viene circuito dal suo superiore, la vedova De Ritis (Franca Valeri), che lo desidera e lo tiene al guinzaglio al lavoro, lecca il culo al direttore dell'azienda (Alberto Lattuada), fa l'anarchico con i colleghi (Leopoldo Trieste e Mario Carotenuto) ed il gradasso con gli operai che gli chiedono di partecipare allo sciopero. Fifone, si rammollisce, invece, di fronte al fidanzato di Marcella (Bud Spencer) o dinnanzi la polizia che lo sospetta per lo scoppio di un ordigno durante la campagna elettorale. Zerbino con i forti e vile con i deboli il giovane Alberto ricorda il fascista che forte del cameratismo delle squadracce picchiava i deboli salvo poi cambiar bandiera in tempi sospetti declamando a propria virtù l'obbedienza verso la bandiera repubblicana e l'estraneità verso le più becere azioni del passato.

Il Menichetti di Monicelli è l'italiano medio: pavido, codardo, sbruffone, egoista. Menichetti pensa per sé, tenta di evitare guai, e per raggiungere una promozione e la sicurezza non esita a mentire. Ma proprio perché è l'italiano medio risulta mediamente simpatico. Un piccolo farabutto ma abbastanza innocuo e goliardico. Siamo un po' tutti Alberto Menichetti. Laidi boriosi, profittatori, ipocriti. Come la società descritta da Monicelli. Anche la vedova De Ritis, interpretata da Franca Valeri, nonostante un posto di prestigio non sfugge alla tragedia dell'italiano medio tramutandosi da ricattatrice a vittima, svelando un passato ben diverso da quello rivendicato a parole. La vedova è una donna rifiutata dagli uomini (in ciò coincide con la "zitella Cesira") ma la sua malinconica essenza è dovuta soprattutto ad un rango sociale camuffato per acquisire maggior pregio al cospetto dei maschi. 

Nel film di Monicelli non manca la satira verso una mentalità industriale sempre tesa a massimizzare i profitti con l'adozione di mezzi poco "cristiani" mentre l'ironia di stampo politico è appena abbozzata nelle false trasgressioni del giovane impiegato e nell'accenno ad una campagna elettorale alquanto accesa.

Bonariamente pungente, con qualche venatura di triste sarcasmo, "Un eroe dei nostri tempi si contraddistingue per un finale ironico che narra l'atavica maestria, tipicamente nostrana, di far buon viso a cattivo gioco. Racconta di ieri ma parla di oggi risultando per questo un'opera da riscoprire.

 

 RaiPlay

 

Alberto Sordi

Un eroe dei nostri tempi (1955): Alberto Sordi

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