Regia di Alessandro Maria Buonomo vedi scheda film
Guido non sarebbe Guido se non ci fosse Armando. Ed è bene che il mondo lo sappia.
Il poeta e la rockstar. Sono la stessa persona, condensata in un antidivo che riempie le piazze con un’arte tradizionalmente impopolare e senza futuro. Guido Catalano strimpella versi tristi e arrabbiati, che se fossero musica sarebbero un heavy metal stracciato e zoppicante, travestito da rap a buon mercato. Il suo nonsenso incontra l’irriverenza all’incrocio fra il disincanto e l’allucinazione, e nulla lo smuove più da lì, da quel luogo introvabile in cui tutto può essere detto, non importa come. Questa riedizione sghemba e lucidissima della libertà di parola bisognava inventarla; sì, perché solo con Guido il caos altrimenti elitario della deformazione linguistica diventa il luogo di un abbraccio che stringe tutti – ma proprio tutti – intorno al suo cuore infantile e guerreggiante, come quello di un bambino che si diverta a smontare e rimontare in maniera fantasiosa le cose dei grandi. La sua storia è fatta di pezzi sparsi, frammenti di intuizioni acerbe che si buttano nella mischia provocando un commovente scompiglio. Serata dopo serata, libro dopo libro, la sua figura prende a delinearsi come quella di un burattino che si muove a scatti, facendo saltare la penna sui punti dolorosi dell’esistenza, improvvisando una danza scomposta che piace sempre di più. Ogni volta si ricomincia daccapo, a disfare la magia dell’amore per scioglierla in lacrime aromatizzate al peperoncino, pungenti e salutari per il palato che trova un allegro riparo dall’amarezza, e per la lingua che si ingarbuglia nel leccare le tortuose ferite di un’anima rimasta piccina. Guido è il bambolotto che da solo non riesce a riempire la scena, e per questo si ripete, si mette a girare in tondo, cammina avanti e indietro fra le parole e i pensieri, per aggiungere a sé la sua ombra. In questo modo il pupazzo si sdoppia, si adorna di una profondità oscura e un po’ misteriosa, un alter egoche indossa gli occhiali da sole e parla al contrario, e dice di essere il vero protagonista dello spettacolo. Armando è il non-Guido che spiega Guido dal dietro le quinte dell’antitesi; è il complice-nemico, il fratello rivale, che mettendolo in dubbio ne esalta la posizione critica e scomoda, originale e pericolosamente provocatoria. In mancanza di questa immagine speculare, Guido sarebbe solo uno stravagante qualunque, genialmente diverso ma incompleto perché incontrastato. E questo film sarebbe un documentario a una sola dimensione, in cui tutti di lui dicono il solito gran bene, esaltandolo senza costrutto. Ci voleva una voce fuori dal coro: non importa se inesistente e dai connotati assurdi. È solo così che la verità – noiosa anche quando fa ridere – può diventare commedia. E può così trascinare la mente dai sereni orizzonti dell’intrattenimento e della cultura dentro l’anfratto buio dove – lì davvero - di tutto si può discutere, senza obbligo di applauso finale.
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