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Chi mi ha incontrato, non mi ha visto (L'ultima fotografia di Arthur Rimbaud)

Regia di Bruno Bigoni vedi scheda film

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La recensione su Chi mi ha incontrato, non mi ha visto (L'ultima fotografia di Arthur Rimbaud)

di OGM
7 stelle

Ciò che è stato, e che nessuno sa, è ancora in tempo per esserci.

Bruno Bigoni sogna. La sua ricerca è l’inseguimento di una verità splendida e impossibile, che assomiglia molto a quella di fermare il tempo, di potervi viaggiare a ritroso, di scoprire che il passato non è finito, perché non ha ancora smesso di offrirci novità, di narrarci di sé, di dispensarci nuove rivelazioni. Come nel buio può improvvisamente farsi strada un barlume di luce, così il silenzio può essere interrotto da un canto che si credeva spento per sempre. A 37 anni, Arthur Rimbaud, malato e sofferente in un letto d’ospedale, riprende a scrivere poesie. E torna a farsi vedere, sia pur col viso seminascosto, in una foto del 1891. L’artista spento si riaccende, e solo dopo oltre un secolo ce ne accorgiamo. È il ritardo con cui ci raggiunge il raggio di una stella lontana, attraversando lo spazio vuoto fra le galassie. È un’allucinazione perfettamente plausibile, che rispetta le leggi fisiche, e che dunque esige di essere presa per vera. La magia è una certezza dal contenuto improbabile, eppure precisamente rilevabile dai sensi. Così è la leggenda per la percezione dell’anima.  Bruno Bigoni ci vuole credere. Quell’istantanea ottocentesca non può che essere autentica, anche se gli viene offerta in vendita da una vecchia stramba, dichiaratamente bisognosa di contanti. È il suo personale mito in un mondo anonimamente razionale, che, mentre è intento ad adorare i culti commercializzabili delle rockstar degli anni sessanta, guarda al presente con il disincanto che respinge le favole impegnative, sulle quali si potrebbero davvero costruire nuove utopie. Non siamo pronti ad ascoltare il non detto che, improvvisamente, senza una ragione, si mette a parlare. I pezzi mancanti della nostra collezione di memorie sono intrusi se si presentano a noi da perfetti sconosciuti. La nostra caccia si rivolge a prede note, segue percorsi perlopiù obbligati, non ammette la sorpresa come fulminea materializzazione dell’imprevedibilità. Rifiutiamo la lezione dell’assurdo, la sua azione spiazzante in grado di aprirci la mente sulla possibilità di non sapere tutto e di essere in errore. E dire che basta poco, per creare quella benefica illusione, che ci mantiene in contatto con l’eterno divenire, che contempla la morte come la chiusura del discorso preliminare e l’inizio della storia infinita che è – quella sì – tutta da raccontare, pronta ad essere creata da chiunque se ne sia innamorato. Qualcuno continua a spedire lettere alla tomba di Rimbaud. Il postino del paese le raccoglie da anni, custodendole presso il cimitero. Esistente è quello di cui avvertiamo concretamente la presenza, e a cui possiamo indirizzare con soddisfazione la nostra parola o i nostri slanci affettivi. Non importa se tutto avviene nella nostra fantasia. È proprio quello il luogo del nostro essere in cui è massima la nostra sensibilità, la nostra capacità di provare emozioni al solo soffio di un’idea, ad ogni alito che sfiori appena la superficie del nostro pensiero. Questo film è un semplice atto di devozione del suo autore ad una passione tanto intellettuale quanto infantile, che lo lega ad una manciata di versi adolescenziali di un ragazzo di tanti anni fa,  ad un gioco rimasto incompiuto, amaramente sospeso nell’attesa dell’avverarsi di una  misteriosa promessa.  

 

scena

Chi mi ha incontrato, non mi ha visto (L'ultima fotografia di Arthur Rimbaud) (2016): scena

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