Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Polanskissimo d'annata! "Rosemary's Baby" è una soap opera con le streghe che bussano alla porta e il diavolo che serpeggia dentro gli sgabuzzini, sembrerà strano ma fu lo stesso Polanski a definirlo tale quando lesse le prime pagine della sceneggiatura, in fondo cosa racconta: una coppia giovane con tante speranze che va a vivere in un palazzone a pochi metri da Central Park e incontra di volta in volta i problemi di tutti i giorni con i vicini invadenti e gli alti e bassi della convivenza, lui fa l'attore e venderebbe l'anima al diavolo per avere successo, lei è ben presto affranta dalla vastità della metropoli e non trova conforto in una gravidanza difficoltosa che invece di riavvicinarla al suo ambizioso partner la isola ancora di più.
Tutto qua?
Noooooo….è solo la facciata di questo classico inquietante oggi come quarant'anni fa, c'è tutto un mondo sotterraneo di riti magici, pendagli puzzolenti, beveroni nauseanti, sette forse anche otto figure ambigue e incombenti sul piccolo Andy o Jenny a seconda che sia un maschietto o una femminuccia e la indifesa Rosemary ma agli occhi nostri, che sono in più di una circostanza sovrapposti a quelli della ragazza, non c'è mai vero orrore, la mostruosità più raggelante è quella immaginaria e misteriosa, piuttosto che il brivido fantasioso suscitato dall’aspetto dell'orco con i denti acuminati e le unghie adunche ed annerite dalla sogna che ci si para davanti negli incubi più innocenti di bambino, il film in questione vuole spaventare con il macabro sguardo di chi sta oltre il muro o l’ossessiva presenza di chi invade l’intimità.
Il primo scampolo di paura è confinato nello scantinato adibito a lavanderia dello stabile dove in passato sembra essere vissuta una mangiatrice di bambini, in pratica un’orca assassina, Rosemary vi incontra una graziosa inquilina che ha buone parole per i Castevet, quegli affettuosi vecchietti della porta accanto che le hanno regalato un bell’amuleto, sembra trovarsi bene in quel palazzone dalle guglie gotiche ma le vengono i brividi in quel locale buio e tetro, suggestione? Paura del buio? Non lo sapremo mai perché c’è giusto il tempo di una passeggiata per Guy e Rosemary e quella stessa ragazza è spiaccicata al suolo in una pozza di sangue….suicidio? Omicidio? O forse c’è qualcun’altra che ha tutti i requisiti per indossare quel ciondolo così carino?
E’ il primo passo verso un percorso fra i sinistri angoli della nuova casa e delle mura comuni con l’appartamento dei Castevet oltremodo premurosi, l’inquietudine di una notizia sconvolgente su un amico importante che aveva a suo modo lanciato un guanto di sfida a quelle ombre malvage che turbano il sonno di Rosemary ma quelle stesse ombre oscure quel guanto lo hanno raccolto con molto piacere, strani rumori filtrano dalle pareti, strani dolori addominali per la diafana e rinseccolita Rosemary che culla già il suo bambino e nemmeno se ne rende conto.
Il punto focale dell’intera faccenda è un Polanski assolutamente geniale e creativo, ho la convinzione che in mano ad altri registi del periodo vecchi e nuovi questo film avrebbe fatto un enorme buco nell’acqua come se la luna cadesse nel Pacifico, basta pensare alla lunga sequenza onirica in cui viene descritto il concepimento di Rosemary’s baby tecnicamente molto avanti rispetto all’anno di realizzazione composta com’è da una infinità di virtuosismi come il letto che sembra ondeggiare su uno specchio d’acqua e i fari intensi puntati verso l’obiettivo alle spalle dei mostri che incombono sulla giovane sposina resi ancor più inquietanti dalle lenti anamorfiche che li deformano oltre ad un montaggio frammentato in cui si sovrappone l’incubo delirante ed il rito propiziatorio ma in generale la telecamera è sempre mobilissima ed ondeggiante mossa alle spalle degli attori fino ad appoggiarsi a volte sulle sopracciglia di chi osserva mentre giriamo nei corridoi dell’appartamento, gli esterni newyorkesi poi sono stati ripresi con uno stile tutto francese che mi ha riportato fortissimamente alle passeggiate parigine del Rivette di “Out 1” con quella leggerezza tipica della nouvelle vague che da la sensazione di essere a fianco del soggetto inquadrato o di essere dietro di lui percorrendo i suoi stessi passi.
Il resto lo fa un cast in gran forma di giovani e vecchi attori tra cui spicca la gelida Ruth Gordon che vedrà coronare con un Oscar doveroso questa sua prova a conclusione di una lunghissima carriera, non si possono però trascurare le perfette espressioni del grande John Cassavetes attore nella parte di un attore che riesce a recitare il suo falso amore nei confronti di una grandissima Mia Farrow in un ruolo cucito su misura per lei: con quel fisico magrolino e gli occhi incrociati dallo sbigottimento è costretta a subire gli eventi e combattere i mostri che incombono su di lei fino alla inquietante resa finale anche se la sensazione che l’incubo che sta vivendo sia frutto della sua immaginazione fino a pochi minuti dalla fine della storia non ci sono dubbi che la paura che la affligge sia del tutto giustificata per noi.
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