Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Le ossessioni ricorrenti nel cinema di R.Polanski si condensano in Rosemary’s baby, primo film “americano” del regista. Da un’iniziale situazione da commedia leggera, il film si trasforma ed espande i suoi aspetti tematici mirando a sconcertare lo spettatore, a seminargli intorno l’incertezza per lasciarlo a sé stesso, abbandonato al dubbio e al presentimento oscuro. Rosemary’s baby è un thriller psicologico nel quale si realizza mediante un’ambiguità di interpretazione, un transfer emotivo che sorregge l’intero racconto. Rosemary e il marito Guy, trovano casa in un appartamento vicino a Central Park, si ritroveranno fra vicini invadenti , antiche leggende e cronache lugubri sul passato della loro casa. Il mondo della coppia racchiusa nell’appartamento ristrutturato e luminoso appare da subito vacillante: il regista prima ancora di scomporre gli ambienti di scena e di spostarne i confini, agisce sulle sonorità, sul fuori quadro dove permangono i rumori del traffico caotico e dai sottili tramezzi della casa entrano le voci e i discorsi dei vicini che intaccano inesorabilmente l’intimità dei due protagonisti. Polanski mette a fuoco la sua visione esistenziale e pessimistica della vita, attraverso la gravidanza di Rosemary simboleggia nel suo frutto l’impossibile alchimia relazionale fra due persone, sottolinea la perdita di sé e il distacco con l’altro. Il nascituro è lo specchio di questa unione indispensabilmente crudele e necessaria per perpetrare il senso del mondo avviato alla deflagrazione, alla supremazia del male assoluto che ne è parte intrinseca. Il regista polacco alterna toni leggeri a punte di tensione psicologica che sfiorano il dettaglio horror, spiazzando lo spettatore e mettendone a prova le sue capacità percettive, le allucinazioni diventano realtà e viceversa, e il finale rivoluzionario ne sarà l’ulteriore conferma. Rosmary’s baby si avvale di un montaggio apparentemente lineare ma che grazie a cambi d’inquadratura fra oggettive e soggettive (esemplare è la ricognizione della coppia che visita per la prima volta la casa) mantiene durante tutta la narrazione una suspance spasmodica e sottile che non può non riportare a Hitchcock, alla ricerca di spiegazioni e di verità fra l’attenzione dello sguardo e il mistero del non visibile. Come nel L’inquilino del terzo piano, la chiave del film è al suo interno, in una casa, in un corpo, in un oggetto, a disposizione della mente umana sempre attratta pericolosamente dalla sua autonoma irrequietezza. Se l’occhio sbarrato di Carol, nel precedente Repulsion chiedeva di aprire i propri orizzonti per non morire, in Rosemary’s baby lo sguardo si restringe per l’impari confronto fra l’individuo propositivo e indifeso (in questo caso totalmente proiettato sul bambino che dovrebbe rappresentare un tassello di riscatto dalla propria condizione) con l’insormontabile orrore del mondo.
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