Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Guy (John Cassavetes) e Rosemary (Mia Farrow) Woodhause sono una coppia felicemente sposata. Lei è una donna semplice e sensibile, molto premurosa nei riguardi del marito, un attore di scarso succeso che è da un po’ di tempo che non riceve una buona parte, di quelle capaci di rilanciare una carriera. Prendono in affitto un appartamento in uno dei palazzi storici di New York, abitato da gente di classe, perlopiù anziani, gentili e accoglienti. Vengono subito accolti bene, soprattutto dai coniugi Minnie (Ruth Gordon, Oscar come miglior attrice non protagonista) e Roman (Sidney Blackmer) Castevet, che li riempiono di continue attenzioni. Dopo poco tempo che si sono trasferiti nel nuovo appartamento, la carriera di Guy conosce una fortunosa e inaspettata ascesa e Rosemary rimane incinta. Durante il periodo della gravidanza le premure nei riguardi della coppia da parte dei Castevet aumentano e Rosemary sente dei lancinanti dolori all’addome che non vogliono smettere di tormentarla.
"Rosemary's Baby è uno straordinario thriller psicologico, un film seducente che parte lento, delineando con cura certosina i caratteri di ognuno dei protagonisti, e che poi cresce sempre più di tensione emotiva, conducendo ognuno di noi dentro le manie persecutorie di Rosemery, fino a giungere all'apoteosi del male, dove tutti i particolari apparentemente insignificanti seminati lungo l'intera vicenda confluiscono in una ricognizione dei fatti, tanto ragionevolmente legati all'insaziabile sete di potere dell'uomo, quanto intrinsecamente figli dei meandri più cupi e prevaricatori della mente umana. È uno dei film più belli di Roman Polanski, forse il suo capolavoro assoluto, quello in cui la tendenza a considerare legati da un sottilissimo filo invisibile che percorre lo spazio e il tempo, le ataviche paure dell'uomo con le nevrosi collettive che serpeggiano nelle metropoli contemporanee, le angosce individuali con un male che tende a nutrirsene per accrescere il suo potere ricattatorio, trova il suo senso più compiuto ed efficace. Rosemary è oggetto delle mire complottiste di un insospettabile gruppo di massoni, diventa il mezzo attraverso cui questi devoti a Satana cercano di adempiere al loro culto demoniaco, di rivitalizzarne la potente carica seduttiva attraverso una ritualità che in fondo ricalca quello stesso schema sociale che da sempre perpetua il potere del più forte sul più debole : comprando a buon mercato la ricattabilità di un uomo avido di successo e danaro e circuendo di affabili attenzioni l'esistenza mite di una pura di spirito. Il male nella sua immagine più orribile e quello più banalmente inserito nelle normali incombenze quotidiane tendono a coincidere, a formare un solo corpo che nasce e cresce nel ventre di una vittima inconsapevole del maligno. Un corpo che si nutre di tutto quello che la madre riflette : paure, ipocrisie, malefici, manie persecutorie, avidità, doppiogiochismi. Un corpo che è indotto ad ignorare il bene ed è destinato a diventare l'emblema stesso della perfidia del potere dei pochi sulla moltitudine. C'è un aspetto secondo me centrale di tutto il film ed è quello relativo all'attegiamento che i devoti del diavolo hanno nei confronti dei libri. Il dottor Abrham Sapirstein (Ralph Bellamy), uno dei migliori ginecologi di New York (consigliato "vivamente" dai Castevet), intima Rosemary di non consultare alcun libro per cercare di capire da sola l'origine dei suoi dolori. Le cure prescritte bastano e "i libri servono solo a confondere le idee", le dice. Edward Hutch (Maurice Evans), invece, uno scrittore molto amico di Rosemary, segna la sua sorte quando in presenza di Roman dice che controllerà "sull'enciclopedia" l'origine della strana e maleodorante erba contenuta in un amuleto che la donna porta al collo (donatogli dai Castevet). Ecco, i libri significano conoscenza e conoscere significa squarciare di luce viva l'angusta tetraggine del male, dare un senso alle paranoie che si alimentano di false credenze e superstizioni. Dare un volto ai demoni che affollano la nostra quotidiana esistenza. Altrimenti si diventa schiavi delle proprie ossessioni, si resta talmente in balia delle ambigue affezioni del maligno da preferire farsene partecipi piuttosto che rischiare di soccombere. Accogliendolo quando non si hanno più gli stumenti per resistergli. Come si accoglie un figlio che si ama incondizionatamente. Un capolavoro di angosciante modernità.
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