Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Insieme a La notte dei morti viventi, Rosemary’s Baby rappresenta uno dei film più iconici di un modo nuovo di gestire il genere horror. Gli anni dei mostri della Universal erano ormai lontani e anche la galvanizzazione di alcuni film della Hammer che aveva riproposto classici temi del terrore con rivisitazioni di vicende a base di mummie, vampiri o scienziati dalla doppia personalità, stava lasciando spazio a nuovi concetti di paura. Il Maestro Hitchcock aveva battezzato il decennio con uno dei thriller più straordinari della storia, Psyco, arrivando ad alimentare la paura non da un pericolo esterno o da un mostro, ma dalla mente di una persona apparentemente innocua; 3 anni dopo per la prima volta si butta anch’egli nel genere horror con una vicenda disarmante: Gli uccelli. Il pubblico quindi si stava abituando a dei canoni sempre più realistici di trasmettere la paura e l’inquietudine e Polanski riesce ampiamente a trasmettere questo clima attraverso una storia tragica ed affascinante. Sin dalle prime scene apprendiamo che la coppia di protagonisti, Rosemary e Guy, si trova in un luogo nefasto e segnato da vicende di cronaca nera. Leggiamo di sfuggita che anche la morte della proprietaria dell’appartamento a cui sono interessati ha lasciato degli appunti con scritto una frase come “non posso più associarmi” e vediamo anche un mobile disposto in modo anomalo di fronte ad un ripostiglio. Polanski tratteggia finemente anche questa coppia di vicini cordialissimi ma impiccioni, che dietro un’aria premurosa e bonaria si dimostrano invece delle figure estremamente inquietanti (personalmente mi hanno ricordato la coppia Drayton de L’uomo che sapeva troppo, che proprio dietro un’aria amorevole, addirittura lui esercita come pastore, organizzano il rapimento del figlio del protagonista e stanno gestendo l’attentato ad un uomo di Stato). Il senso di angoscia è reso benissimo anche con l’eliminazione progressiva di tutte le figure che possono essere di qualche aiuto alla protagonista, la morte dell’amico Hutch è emblematica e l’aiuto di costui, anche postumo, è l’elemento che permette a Rosemary di smascherare definitivamente i suoi vicini ed il suo stesso marito. È altresì interessante come Polanski evidenzi come questa setta necessiti di alimentarsi di ignoranza e superstizione: il medico che sconsiglia libri, i portafortuna con radici o elementi “magici”, gli intrugli a base di erbe al posto di medicinali approvati. Naturalmente non possono che parlar male del clero durante una visita del Pontefice a New York. Scopriamo inoltre che gli unici benefici che sanno trasmettere sono di natura materiale: successo per i nuovi adepti e disgrazie o fatture nei confronti dei nemici. Sebbene ormai il ritmo ogni tanto ne risenta o alcune sequenza possono dare agio ad una certa prevedibilità (il medico che tradisce Rosemary consegnandola ai suoi carnefici), all’epoca era senza dubbio un prodotto profondamente moderno e ricchissimo di suspense. Direi che inoltre il film anticipa due tematiche elaborate in modo ancora più esplicito nel giro di pochi anni: nel 1973 Friedkin dirigerà L’esorcista calandoci a piè pari nelle manifestazioni demoniache che qui invece si limitano più al “non visto” (si osservano solo le mani mostruose di Satana durante l’amplesso e degli occhi altrettanto mostruosi che dovrebbero essere gli stessi del neonato), l’altro è dello stesso Polanski, che con il film L’inquilino del terzo piano trascinerà il pubblico in una vicenda altrettanto angosciante tra un vicinato fatto di figure mostruose ed una psiche che vacilla sempre di più.
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