Prendete la realtà e traducetela nella sua manifestazione più dolorosa e mortificante della dignità umana. È a questo tipo di condizione che allude la regista austriaca Barbara Albert, autrice di "Mademoiselle Paradis", ossia della vicenda centrata sulla figura della diciottenne pianista cieca Maria Theresia Paradis, detta "Resi". Allo scopo di trovare rimedio alla sua infermità e nell'estremo tentativo di opporsi a un destino avverso, i suoi genitori decidono di rivolgersi alle contraddittorie arti mediche di un personaggio discusso e controverso come Franz Anton Mesmer, convinto assertore dell'esistenza di un fluido vitale, proprio di ogni organismo vivente, la cuiparticolare manipolazione avrebbe portato alla guarigione delle più varie patologie. Trattandosi di una ricostruzione in costume la Albert è brava a trovare il punto di incontro tra la cura scenografica e dei dettagli, propri del genere, e un'estetica algida quanto raffinata in grado di riprodurre la vita alla maniera di un impassibile referto. Tale combinazione, però, se da un lato conferisce coerenza e efficacia alla resa visiva della storia, dall'altro finisce per svuotarla dei suoi significati e delle sue componenti emotive. A meno che non ci si accontenti di registrare la distanza sentimentale di coloro che si rivolgono alla paziente, in questo caso gli stessi genitori e il medico curante, allineati sulla lunghezza d'onda di una sostanziale, comune indifferenza.
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