Regia di Fatih Akin vedi scheda film
Discutibile racconto di una bruttissima storia di terrorismo e di una vendetta privata in puro stile kamikaze.
La famiglia, la giustizia, il mare
Con questi sottotitoli Fatih Akin suddivide in capitoli (come fa spesso) questo suo film, dal quale, personalmente, mi aspettavo qualcosa di meglio dopo le deludenti ultime sue opere.
La crudeltà di un attentato terroristico di matrice neonazista aveva cancellato in un solo momento la famiglia di Katja (Diane Kruger), provocando l’orribile morte delle due persone che la donna aveva amato sopra ogni altra: suo marito Nuri (Numan Acar) e il piccolo Rocco (Rafael Santana), il figlioletto.
Si erano sposati in carcere, dove lui, turco e curdo, scontava una pena per spaccio di droga. Per rispetto di sé, per lei e in vista del loro futuro, Nuri, una volta libero, aveva cambiato vita: ad Amburgo, dove abitavano, aveva aperto un’agenzia di servizi (pratiche immobiliari e finanziarie) e finalmente svolgeva un lavoro pulito, alla luce del sole.
Lì, in quell’ufficio, un maledetto pomeriggio, Katja gli aveva affidato il piccolo Rocco; lì, una ragazza, che lei aveva visto benissimo, aveva parcheggiato la bici su cui era sistemata la valigetta metallica, ovvero la bomba piena di chiodi che avrebbe provocato l’esplosione disastrosa in cui padre e figlio sarebbero stati spazzati via. Katja, che l’aveva incrociata e le aveva anche parlato, era stata in grado di riconoscerla subito fra le foto segnaletiche dei neonazisti che la polizia le aveva mostrato. Nonostante questa sua testimonianza e nonostante le schiaccianti prove raccolte dalla polizia nel garage della residenza del suo compagno, neonazista come lei, i due criminali erano stati assolti con pretestuose e ridicole motivazioni garantiste, lasciando Katja disperata e determinata a farsi giustizia da sé. Nella terza parte del film, i luoghi luminosi della Grecia e la riva di quel suo limpido mare diventano lo sfondo della vendetta atroce di Katja, che aveva raggiunto i due assassini mettendosi sulle tracce del loro complice di Alba Dorata, nobilitando il proprio gesto col cosciente sacrificio di sé.
Il film
Questo film ha avuto un prestigioso riconoscimento internazionale ai Golden Globe 2018, dove è stato considerato il migliore film straniero del 2017; l’attrice Diane Kruger, da parte sua, aveva ricevuto qualche mese prima la Palma d’oro a Cannes per la migliore interpretazione femminile.
Per quanto poco possa contare esprimo il mio dissenso in entrambi i casi.
Non mi ha convinta né l’enfasi, a tratti insopportabile, dell’interpretazione di Diane Kruger, né la diffusa pornografia del dolore che vorrebbe giustificarla, né la faciloneria della seconda parte del film, relativa al processo, nella quale gli imputati, il loro avvocato, per non parlare del testimone di Alba Dorata sono tutti così brutti e cattivi da sembrare caricature, nazisti con "stigmate" da assassini talmente vistose da dover essere riconosciuti colpevoli prima ancora di aprir bocca. La sentenza, eccessivamente garantista, non poteva che provocare lo sdegno che in lei assumeva la forma di uno scellerato disegno di vendetta, quale unica soluzione per risarcire le vittime innocenti la cui memoria lo stato tedesco non aveva saputo difendere con la forza delle sue leggi.
Discutibile e disomogeneo racconto di una bruttissima storia di terrorismo e di una vendetta privata in puro stile kamikaze.
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