Regia di Maurizio Zaccaro vedi scheda film
Tff 34 – Festa Mobile.
È possibile fare un brutto documentario? La domanda mi sorge spontanea, il metro di giudizio è differente da quanto adottato per un’opera di finzione, più o meno si trovano sempre spunti interessanti, la differenza la potrebbe fare uno scatto stilistico in più, comunque generalmente raro, oppure la si potrebbe riscontrare nello svisceramento in profondità un discorso, arrivando a intersecare territori sconosciuti.
Bene, continuando su questa falsa riga, La felicità umana è tutto fuorché qualcosa d’indigeribile, però ha un problema: vorrebbe dare, fin dal titolo, delle risposte a una domanda a dir poco complessa, ma poi parte per la tangente, accollandosi temi anche importanti, ma perdendo di vista il fuoco sacro del(l’ipotetico) discorso.
Certo, praticamente qualsiasi cosa è riconducibile alla ricerca della felicità, ma così è fin troppo facile e il film di Maurizio Zaccaro è tutto tranne l’emblema di una scoperta.
Era, se vogliamo, una missione impossibile e l’inizio è pure benaugurante, prestandosi appunto a considerazioni elevate, con un riscontro reale, tra concetti filosofici e un contributo molto intelligente di Bruno Bozzetto che ricorda come gli interessasse mostrare ciò che non andava per il verso giusto, al fine di avvalorare indirettamente la felicità stessa.
Purtroppo, sono fuochi di paglia, ben presto La felicità umana sembra addensarsi e concentrarsi fin troppo su temi d’attualità, comunque sentiti e necessari, entrando in un loop teoricamente senza fine, praticamente riscontrabile in uno dei tanti documenti filmati che affollano le serate televisive.
L’economia - con il Pil che non porta direttamente alla felicità visto che, ad esempio, l’inquinamento non piace a nessuno, ma rimane necessario per fare entrate (decrescita felice?) - l’immigrazione, con la ricerca di una vita migliore, con sguardi che parlano da soli.
Così, tanto di ciò che viene mostrato è riscontrabile usualmente altrove, con uno sguardo in giro per l’Europa che vuole dimostrare come laddove le disuguaglianze siano minori tutti vivono (un po’) meglio (sacrosanta verità, per carità), con la necessità di rinnovarsi.
Come? Quando? Perché? È più complicato stabilirlo e l’intervento illustre di Ermanno Olmi sembra provenire da chi è, giusto un attimo, fuori dal mondo (non che abbia torto marcio, ma in fondo non dice nulla che possa indicare una via concreta).
Alla fine, la domanda era/è a dir poco biblica, le risposte sono raramente illuminanti - tanto che il titolo sarebbe mutuabile in decine di altri modi - e sentirsi dire che il massimo sarebbe stare bene con se stessi, può anche passare per deprimente.
Assolutamente guardabile, ma poco compatto e soprattutto presenta poco di più di quanto non sia già arcinoto a chi è abituato a guardarsi intorno.
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