Regia di Janus Metz Pedersen vedi scheda film
Borg McEnroe è un film senza dubbio godibile e a tratti avvincente, anche se la presa di posizione a favore del tennista svedese e una certa superficialità, pur non compromettendo l'opera, ne limitano fortemente le potenzialità.
Borg McEnroe avrebbe potuto essere un gran film su una rivalità sportiva, così come un profondo trattato umano sul sacrificio e i cambiamenti cui si è costretti a venire a patti in cambio del successo personale. Borg McEnroe avrebbe potuto essere il racconto della paura della sconfitta o dell'ebbrezza della vittoria, oppure l'epico scontro di due attitudini alla vita completamente opposte, tradotte sul campo in erba di Wimbledon.
Avrebbe potuto, appunto. Borg McEnroe è un film senza dubbio godibile e a tratti avvincente, ma allo stesso tempo un'occasione sprecata in virtù dei tanti spunti interessanti e mai approfonditi. Così il regista Janus Metz, svedese classe 1974, spiattella allo spettatore in modo didascalico le differenze profonde tra i due protagonisti, pretendendo che le si accettino a priori e accennando con sufficienza al cambiamento psicologico di entrambi i personaggi in età adolescenziale. Inoltre l'autore patteggia per Borg, dedicandogli quel minimo di introspezione che non avrebbe fatto male al personaggio di McEnroe, piatto come una figurina e interpretato da un pur convincente Shia LaBeouf. Così se McEnroe sembra il solito spavaldo un po' fuori di testa (non è chiaro dal film come le figure genitoriali possano averlo represso, provocandogli una trasformazione tanto plateale), in compenso il lavoro sulla figura di Borg è dignitoso, lasciandone trapelare anche un certo distacco dalla realtà e il conseguente disagio esistenziale che l'estrema dedizione al tennis sembrerebbe provocargli; una capacità di concentrazione totale senza pari e degradante, che non a caso non varrà il prezzo delle prime sconfitte (anche queste accennate sbadatamente con un paio di scritte su schermo nero prima dei titoli di coda).
Per il resto, non si può negare che il film riesca a ricreare l'atmosfera storica, la finale del torneo di Wimbledon è magnifica e gli attori sono in parte. Un plauso va fatto alla resa dei match, vista la difficoltà che uno sport del genere pone nella sua resa cinematografica. Eppure nulla viene aggiunto al filone dei film sui dualismi sportivi: se Ron Howard con Rush riuscì a costruire due personaggi antitetici nelle scelte e negli atteggiamenti ancor prima che sulla pista, Janus Metz ne annuncia le differenze affidandone la rappresentazione perlopiù alle parole dei personaggi di contorno. Come detto prima, qui è mancata la visione epica e ambiziosa di elevare uno scontro sportivo a scontro di filosofie di vita.
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