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Borg McEnroe

Regia di Janus Metz Pedersen vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Borg McEnroe

di alan smithee
4 stelle

locandina

Borg McEnroe (2017): locandina

locandina

Borg McEnroe (2017): locandina

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2017 - SELEZIONE UFFICIALE 

Il senso della sfida, la differente dinamica che definisce e rende opposti, per carattere, indole ed atteggiamento, due contendenti al suo livello più elevato e spettacolare, ha reso immortali sfide sportive ormai divenute leggenda: specie quando, come nel tennis, la disciplina è individuale, e di conseguenza il duello competitivo assume una dimensione personale, in grado di forgiare lo spirito del campione, o al contrario di dissolvere nel nulla una carriera ed un talento, se a mancare è il carattere e non la tecnica di gioco.

Shia LaBeouf, Sverrir Gudnason

Borg McEnroe (2017): Shia LaBeouf, Sverrir Gudnason

Sverrir Gudnason

Borg McEnroe (2017): Sverrir Gudnason

Poteva essere fantastica questa occasione, e l'aver saputo scegliere due interpreti perfetti faceva ben sperare: Sverrir Gudnason è identico al vero Borg, Shia LaBeouf semplicemente fantastico (davvero ottimo, e probabilmente parte della follia del personaggio che interpreta è autentica farina del suo sacco) nel rendere l'istrionismo folle e nervoso che coglie l'americano McEnroe nel momento di affrontare una sfida in cui tutto, tranne la tecnica di gioco, pare essergli contrastante e sfavorevole.

Ma il film, scritto in modo elementare e banale, prevedibile e semplificativo, spreca ogni possibilità innanzi tutto sbilanciandosi in modo sperequato sul campione svedese, l'uomo si ghiaccio che il film stolto rende una macchina ubbidiente al business e alla fidanzata, dunque un automa programmato, ma senza carattere, salvo poi aggiustare tardivamente il tiro nel finale patetico tutto bacini e bacetti svenevoli in aeroporto, tra i due campioni accerrimi rivali, divenuti amici grazie ad un gesto di intesa.

Shia LaBeouf

Borg McEnroe (2017): Shia LaBeouf

E se la sfida finale di Wimbledon viene affrontata come un dettaglio veloce e di scarsa rilevanza (che peccato, che spreco!!), molto più tempo gli sceneggiatori sciupano tempo a parlarci dell'infanzia - guarda caso un po' problematica - dei due, anzi di Borg, visto che si parla quasi solo di lui, coinvolgendolo da adulto anche in siparietti sdolcinati e ruffiani come quello del caffè al bar ad inizio film.

Colpe di sceneggiatura, prima di tutto, ma anche la regia del danese Janus Metz appare alquanto impersonale, frettolosa, diligente solo a mettere insieme scene che facciano piacere alla vista, fregandosene dell'onestà del racconto.

E comunque, dopo aver ammirato qui alla Festa romana solo un paio di giorni orsono il piglio e l'approccio stupendo del riuscitissimo doc sul brutale, scorretto, ma sincero e a suo modo onesto Nick Bollettieri in "Love means zero", questo Borg-McEnroe scade davvero nella più piatta banalità populista e strappa applauso, a mio modo di vedere indigesta e facilona, piatta e retorica; tutto il contrario di quello che il documentario di cui sopra riusciva a comunicare in termini di emozioni e ancor più di sentimento.

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