Regia di Ubaldo Ragona, Sidney Salkow vedi scheda film
Io sono legenda (da cui è tratto questo film) è un meraviglioso libro scritto da Richard Matheson. Un uomo si ritrova ad essere, o a credersi, l’ultimo della sua razza. Circondato da vampiri (nel film diventano zombie, che anticipano quelli di Romero) l’uomo rincorre la propria sopravvivenza. Una storia tutta costruita sulla psiche del personaggio, sui dubbi e le paure che lo tormentano, sulla sua perenne solitudine, sulla vita che diviene un monolitico discorso con se stessi, senza più una via di uscita.
Nel film, invece, si perdono l’introspezione e il tormento psicologico per lasciar posto ad una più banale esteriorità del personaggio e delle sue vicende. Vincent Price, troppo teatrale, non incarna i violenti umori e gli improvvisi scatti di ira o gioia del personaggio letterario in maniera corretta. La sua recitazione è troppo esteriore, di facciata, senza la ricerca di quella spinta interiore (fatta di malesseri e paranoie) che avrebbe dovuto funzionare da motore per tutte le sue azioni.
Il film rispecchia in maniera corretta (e non è un difetto) il modo di Corman di fare film. Piccolo budget, velocità realizzativa, professionalità tecnica. Il soggetto, un uomo che rimane da solo sulla terra, sembra essere l’ideale per un film a basso costo. Il problema è che il libro si basa totalmente sul flusso di coscienza e questo in realtà è una delle cose più difficili da trasportare sullo schermo. Proprio perchè strumento prettamente letterario, il flusso di coscienza, se non ha un adeguato supporto audiovisivo, al cinema, finisce per annoiare.
Il film rivela subito una forte artigianalità (ormai perduta nel nostro cinema) che diventa in alcuni momenti purtroppo paradossale (non bisogna scordare però che il film è stato girato in parte negli Stati Uniti e in parte in Italia). Alcune sequenze infatti richiamano un’architettura americana (gli interni della casa) mentre altre sequenze sono state girate all’EUR, a Roma (la maggior parte degli esterni). All’inizio il protagonista segna i giorni sul suo muro scrivendoli in inglese, poi legge il Messaggero.
Il film risulta essere, quindi, un ibrido di dubbia natura, due film girati da regsiti diversi e montati insieme in un tentativo di sfruttare un tipo di fantascienza molto in voga negli anni sessanta.
Il genio di Matheson esplode (nel libro) quando si viene a scoprire che in realtà (in un cambio di prospettiva) i mostri non sono i vampiri che il protagonista cerca di uccidere, ma il protagonsita stesso.
Perchè la nuova società (che si sta creando) sarà proprio quella dei vampiri e l’unico diverso sarà solo lui, il protagonista, in quanto ancora umano.
Un film che purtroppo non utilizza minimamente le potenzialità di un libro che ha molto da dire.
Un film che si limita a sfruttare la storia per un lavoro di buona fattura, che non lascia però spazio alla sperimentazione e all’invenzione.
Ma che nella sua artigianalità ci ricorda un modo di fare cinema che ormai è tristemente scomparso.
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