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La casa dei nostri sogni

Regia di H.C. Potter vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La casa dei nostri sogni

di yume
8 stelle

locandina

La casa dei nostri sogni (1948): locandina

Cominciamo da qui:“Il prosciutto non mangiam se non è di marca Wham”, cioè dalla fine, quella del film, s’intende, perché per ora è rimandata quella di Jim Blandings, pubblicitario a corto di slogans e nei debiti fino al collo, con quella maledetta casa dei suoi sogni da pagare.

Sì, perché se non arrivava Gussie, la tata di colore paffuta e sorridente, a portare  alle bambine  caffelatte, uova e Wham per colazione, canterellando il ritornello, il povero Jim se la vedeva male, stavolta.

Il capo aspettava da sei mesi lo slogan, la testa di Jim ormai era completamente fusa, con 38.000 dollari di casa da pagare (siamo nel ’48, oggi sarebbero…. chissà? ma non credo poco) e, dunque, licenziamento sicuro dietro l’angolo.

Trovato lo slogan, happy end sul  prato di casa, tutto è bene quel che finisce bene e l’adorabile coppia Cary Grant/ Mirna Loy, col copione in mano di Mr. Blandings Builds His Dream House, ci guarda in platea e c’invita ad andarli a trovare, la casa ormai è fatta, in qualche modo la pagheranno e Jim si alzerà ogni mattina alle 5.00 per andare a lavorare in città:

“Per il resto della mia vita sarò costretto ad alzarmi alle 5.00 per prendere il treno delle 6.15 ed essere al lavoro alle 8.00, l'ufficio apre alle 9.00 ed io non ci arrivo mai prima delle 10” (piccoli svantaggi compensati da tanta aria buona!)

Ma andiamo con ordine: la sveglia suona, sgradevolissima, in uno di quelli che gli architetti chiamano exsistence minimals a Manhattan.

Scatta la rissa del mattino, chi arriva primo in bagno, dov’è finito questo e quello, qui non abbiamo armadi  sufficienti e non si trova più niente, non se ne può davvero più.

Famigliola media (padre, madre e due belle bambine senza animali, solo una gabbia con uccellino) stretti in pochi metri quadri al centro della metropoli, è giusto che sognino di andarsene in una bella casa nel Connecticut, con tanti armadi e bagni, innanzitutto, e poi la sala-gioco con biliardo e ping pong, la veranda davanti alla cucina con la vasca dei fiori per la signora, che ha bisogno anche di un vano tranquillo al piano superiore dove lavorare a maglia e fare tutti quei cari lavoretti femminili che adora.

Tutto questo, naturalmente, insieme ai soliti ambienti canonici di una casa che si rispetti.

Da questo momento questa deliziosa, frizzante, irresistibile commedia ci mette un po’ tutti davanti allo specchio, chi non ha mai chiamato un idraulico, o comprato casa, o cercato di far funzionare quella che ha?

Chi di noi non appartiene a quella middle class che, nel ’48 o nel 2010, sogna spazio, aria pura e silenzio di notte?

Magari facciamo a meno dell’angolo per la maglia, ma di un bagno a testa proprio no!

Mentre le disavventure del povero Jim, esemplare perfetto del sogno americano nel dopoguerra, cittadino medio della Grande Mela, preso nel vortice del farsi una casa fuori città, aumentano in misura esponenziale e il preventivo si gonfia come tutti i preventivi che si rispettino, la comicità delle situazioni aumenta in proporzione.

 

Cary Grant, Myrna Loy, Melvyn Douglas

La casa dei nostri sogni (1948): Cary Grant, Myrna Loy, Melvyn Douglas

Cary Grant è il solito buono un po’ tontolone che ci faremmo in quattro per aiutare, per fortuna c’è la dolce Muriel, una Myrna Loy che tutti i mariti vorrebbero per moglie, paziente, sorridente, ovviamente materna, e l’amico di casa, l’avvocato Bill Cole, un Melvyn Douglas ironico e sornione più che mai, con i suoi baffetti da sparviero e la battutaccia sempre pronta su quel candido Jim che, giustamente, dice: “Ci sono cose che si comprano col cuore, non con la mente!” man mano che i conti aumentano.

Ma la casa dei sogni deve esistere, deve uscire dai sogni e diventare realtà, costi quel che costi, e poi quella è un monumento nazionale, George Washington Slept Here, l’hanno scritto George Kaufmann e Moss Hart

Holdings ha scritto il romanzo, ok, forse ha capito male e ha scritto “I cavalli di Roosevelt si sono abbeverati qui”, ma cosa cambia? Potter ci fa un film, la casa è sempre quella, a Jim e Muriel piace da morire.

Cary Grant, Myrna Loy

La casa dei nostri sogni (1948): Cary Grant, Myrna Loy

Certo, si fa un po’ fatica a trovarla e Melvin suggerisce di immaginare di essere i cavalli di Roosevelt che hanno sete, insomma tutto va nel verso giusto, anche se l’idraulico non trova la vena acquifera e scava un pozzo di 70 metri mentre solo un po’ più in là da un buco di due ne zampilla un mezzo fiume che allaga tutto, e le finestre sono andate ad un altro indirizzo, e le porte si chiudono ma non si aprono… ma insomma, le cose uno le deve conquistare, con tanta determinazione, ottimismo e un pizzico di fortuna.

Il pizzico di fortuna si chiama Gussie col suo prosciutto Wham (vedi inizio)

E il sogno americano continua…(allora, oggi gli homeless avrebbero qualcosa da ridire, forse…)

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