Regia di Iain Softley vedi scheda film
Un mago dei computer, a soli 11 anni, manda in tilt Wall Street e dopo 7 anni di condizionale e astinenza dai computer, entra a far parte di un gruppo di hackers con cui scoprirà le cause di un disastro petrolifero di cui verranno accusati ed insieme le prove della loro innocenza.
Nel mondo informatico, in cui anche la Legge di Moore appare anacronistica, recensire un film datato 1995 in cui le scorribande degli hackers (crackers per l’esattezza) e phreackers erano all’ordine del giorno, si accedeva alla Rete tramite modem 28k ed il cyberspazio era raffigurato come una realtà tanto aliena quanto caleidoscopica, può rivelarsi un bagno di bytes soprattutto se la stessa pellicola, al tempo, aveva scucito più di qualche sorriso. La regia di Iain Softley volendo legittimare quel coro anarchico, ma vivo e pulsante, di cowboy della rete, finisce per confezionare un meltdown di circostanze che si barcamenano fra l’amore, come sentimento, tra i due protagonisti e quello come atto eversivo per limiti e barriere imposti da una realtà assoluta, quale la convinzione che l’essere “diversi” sia sinonimo di fuorilegge.
Regia e montaggio sono vivaci ma dove l’opera cola a picco è nei pilastri che dovrebbe sorreggerla: sceneggiatura, fotografia, doppiaggio e recitazione.
La sceneggiatura e la fotografia ammiccano più alla frivolezza dell’immaginazione che non alla cronistoria di come le tecnologie allora fossero implementate forse perché avrebbe avuto poco presa sul pubblico o non avrebbe reso a dovere le azioni intraprese (dopotutto l’informatica è eterea…): sappiamo però che gli attacchi non avvengo attraverso tunnel cibernetici alla Nathan Never e che le matrici matematiche faranno la loro figura qualche anno più tardi, con Matrix, per cui non si può che restare allibiti, al limite della farsa. Il colpo di grazia arriva dal doppiaggio perché se avessero di certo avuto a disposizione il Google Translator si sarebbero risparmiati un congruo numero di strafalcioni: il worm, il virus informatico, non è il verme come pure la backdoor, l’exploit adottato per “accedere al sistema”, non è la porta sul retro… meglio quindi la versione in lingua inglese, se non altro per ascoltare la voce di un cast di prestigio: Angelina Jolie, la Kate, bella e dannata, forse l’unica a salvarsi dal punto della recitazione; Jonny Lee Miller, lo Zero Cool di Softley che qui acerbo maturerà nello Sherlock di Elementary; Laurence Mason (inconsistente) e Jesse Bradford, bravo ma non in grado di risollevare la piattezza generale.
A chiusura di codice, un film che non consigliamo, benché non sarebbe da privarsi di nulla, in quanto anche il solo vedere la maturazione di attori e attrici sia di per sé una ricchezza, il resto finisce per provocare quella sensazione di “potevo dedicare il tempo a…” che raramente concilia il sonno. Da vedere solo magari se trasmesso in TV in modo tale da poter cambiare canale in qualsiasi istante.
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