Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Per essere stato una delle tante imitazioni dei primi gialli - thriller di Dario Argento, pare girato per ragioni economiche dopo il successo di "Profondo Rosso", questo film di Pupi Avati non è male ma se oggi è considerato uno dei film più "originali" degli "spaghetti-thriller" chissà gli altri che banalità.
Nei primi anni cinquanta il giovane restauratore Stefano (L. Capolicchio) arriva in un desolato paese delle campagne ferraresi per mettere a posto un affresco dipinto in una chiesa isolata da Buono Legnani, un pittore locale morto suicida nel lontano 1931, raffigurante il martire cristiano San Sebastiano pugnalato a morte da due streghe invece che trafitto dalle frecce dei legionari romani. Dopo la morte misteriosa di un suo amico depresso, Stefano comincia a indagare su certe vicende personali di quel pittore, un povero pazzo tristemente noto nella sua zona di residenza per aver ritratto molti soggetti umani morenti dopo essere ritornato dal Brasile insieme alle due sorelle altrettanto matte. Un insolito artista dalla faccia da babbeo assai poco apprezzato dai suoi compaesani anche tempo dopo la sua scomparsa, tanto che alla vista della sua opera nella chiesa il vecchio prete domanda al restauratore: “Ma con tutti i muri belli, liberi e puliti doveva venire proprio qui a dipingere una schifezza del genere?”.
Con una scusa Stefano viene allontanato dall' unico albergo del paese dopo aver conosciuto la nuova maestra Francesca e si trasferisce con lei in una villa in mezzo alla campagna abitata soltanto da una vecchia paralitica costretta a stare a letto, talvolta assistita da un giovane sacrestano balordo. Ma sarebbe stato meglio per entrambi se Stefano se non avesse indagato troppo su quel macabro pittore, facendo domande a tutti. Infatti le due sorelle del defunto imbrattatele necrofilo sono ancora vive e una di loro è molto abile nei travestimenti. Probabibilmente in Brasile avranno conosciuto anche qualche viado (transessuale).
Girato a basso costo e in poco tempo per ragioni economiche dopo l’ insuccesso di un film precedente di tutt' altro genere, “La casa dalle finestre che ridono” si inserisce nella serie di film gialli - thriller nostrani di ambientazione urbana o provinciale che imitavano banalmente i primi film di Dario Argento, che l’ anno precedente all’ uscita di questo film di Pupi Avati aveva riscosso un notevole successo di pubblico con il più noto thriller “Profondo Rosso”. Ma a differenza dei film di Argento e di quelli dei suoi imitatori, il thriller di Avati non mostra affatto il consueto repertorio di feroci delitti con dovizia di particolari truculenti, a parte nella parte iniziale e in quella finale del film, quest’ ultima con un colpo di scena finale inaspettato, modificato all' ultimo momento per volere della produzione.
Infatti sono pochi i facili spaventi, spesso ottenuti solo con una atmosfera notturna, la voce del folle pittore che delira eccitato dai suoi colori incisa su di un vecchio registratore a filo metallico e un motivo musicale inquietante di Amedeo Tommasi, che fanno da sfondo alle indagini sempre più ossessive del protagonista, circondato a volte da personaggi felliniani, quali l' amico chimico depresso, il giovane sacrestano scemo, la prima maestra del paese andata subito via anche per colpa di certe voci sulla sua vita privata, poi sostituita dalla più giovane collega Francesca, un saccente sindaco nano che vuole addirittura attirare dell' interesse turistico sulle opere di quel pittore maledetto, un autista ubriacone che beve per dimenticare dei brutti ricordi d' infanzia e una pallida signora muta che gira di notte da sola con dei fiori in mano, spettrale moglie matta dell' unico ristoratore del paese. Quasi tutti personaggi da circo o da psichiatra, a parte alcuni figure marginali come la citata prima maestra di facili e pochi costumi annoiata e fuggita, somigliante alla più vistosa Gradisca del film "Amarcord" di Fellini.
L’ orrore è più suggerito che mostrato, spesso narrato a spezzoni da racconti orali da salotto o da osteria. Quanto alla verosimiglianza della vicenda non è da considerarsi minimamente attendibile, per non parlare di certe storie di persone scomparse, rapporti incestuosi, necrofilia e sacrifici umani d’ ispirazione sudamericana che con il Comacchio romagnolo non hanno ovviamente assolutamente niente a che fare. Una curiosità: In una scena ambientata di giorno nella trattoria del paese, si sente alla radio lo stesso motivo musicale, più allegro, di quel film precedente che aveva costretto il regista a girare questo thriller nella speranza di recuperare i costi di produzione, un sonoro fiasco di commedia grottesca intitolato "Bordella", con Gianni Cavina, Christian De Sica, Gigi Proietti e Al Lettieri. Anche i primi film di Argento non sono da meno come scarsa credibilità delle trame e dei pazzeschi moventi degli assassini o delle assassine. Più credibili di certe situazioni del film di Avati sono le interpretazioni dell' attore protagonista Lino Capolicchio e di Gianni Cavina ma anche quelle degli altri attori e attrici del cast non sono male, considerando che hanno interpretato più che altro delle commedie di taglio grottesco dirette dallo stesso regista.
Comunque un film di poco al di sopra della media dei cosiddetti “spaghetti thriller” degli anni settanta (in questo caso un “tortellini thriller”) anche se ogni riferimento alla figura del fu noto pittore naif di Guastalla (Reggio Emilia) Antonio Ligabue (oltretutto nominato all' inizio del film) e al celebre film “Psyco” di Hitchcock non è puramente casuale. Bisogna considerare che in quel periodo, oltre ai gialli-thriller italiani alla Dario Argento, andavano di moda dei thriller americani molto horror come "Non aprite quella porta" dell' allora esordiente Tobe Hooper, altro film di folli serial killers provinciali più brutti, cattivi e dementi di quelli italiani. Bisogna anche considerare che di film del genere ambientati nelle semi deserte campagne ne hanno già girati a decine fino a oggi, probabilmente perchè si tratta di una ambientazione ancora inquietante quanto economica.
Questo film di Pupi Avati, che tra molte commedie e pochi thriller purtroppo girò anche di peggio, è uno di quelle opere cinematografiche minori ma considerate dei piccoli e originali cult-movie da una parte degli spettatori appassionati di un determinato genere di film, rivalutati di recente da una critica più giovane per via del fatto che certi generi e sottogeneri cinematografici di successo e perciò fin troppo sfruttati per ragioni commerciali, sono da tempo scomparsi o in via di estinzione per mancanza di idee nuove dopo tante scopiazziature poco originali. Infatti l' horror-thriller made in Italy non ha quasi mai brillato per fantasia, salvo rare eccezioni come questo film. Chissà il resto che banalità, probabili mediocri imitazioni a basso costo di stravisti film americani di maggior successo, girati a ripetizione da artigiani nostrani del cinema da bancarella dell' usato soltanto per fare dei soldi facili, pochi o tanti che furono, sulla scia del successo di altri colleghi più famosi e talentuosi.Se certi registi commerciali di una volta molto meno famosi di Avati hanno oggi i loro ammiratori è un chiaro sintomo della totale mancanza di fantasia in certi generi e sottogeneri cinematografici ormai estinti da tempo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta