Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Il Po che fece impazzire Antonio Ligabue. Il Po che ispirò Lovecraft durante un viaggio in italia, da cui trasse Dagon- il dio pesce prendendo spunto dal pesce siluro e dalla desolazione, dal silenzio innaturale, dall’orizzonte piatto e monocolore. La desolazione dell’anima accordata al paesaggio fermo con quell’aria densa, in attesa di qualcosa di innominabile. In ascolto dei pensieri che non trovando ostacoli naturali o costruiti dall’uomo si espandono fino a tracimare in una esondazione di follia che apparentemente non trova spiegazione alcuna. E’ in questo contesto che si sviluppa la storia de La casa dalle finestre che ridono, splendido esempio di horror italiano, che si nutre a piene mani della morbosità latente che la fertile pianura del Po sornione nasconde tra le sue piaghe. I piccoli paesi cresciuti come nei al sole malato della Bassa Padana, nascondono tra i loro abitanti misteri e leggende, superstizioni che vengono tramandate di bocca in bocca, di imposta socchiusa in sguardo sospettoso. La fotografia di questa società quasi segreta al di là di un’apparente agreste cordialità è la chiave di volta del film, società che Avati dimostra di conoscere bene, donando una caratteristica e un ruolo chiave ad ogni personaggio, caratterizzandolo a dovere. Il mistero che avvolge l’affresco rinvenuto in una chiesa e che il restauratore (Lino Capolicchio) riporta al primo splendore è nutrito e fomentato dall’ambiguità dei paesani complici assenti di morti e sparizioni in zona pare legati alla figura di un pittore maledetto che amava ritrarre i suoi modelli al momento della morte e per questo ribattezzato il “pittore di agonie”. Morti misteriose, sparizioni e rivelazioni seguono il protagonista in un crescendo di tensione e morbosità nel quale egli in prima persona ne rimane pesantemente coinvolto, fino al sorprendente finale sospeso culmine di una storia di malattia, aberrazione, violenza e incesto che appare a tutt’oggi estrema, nonostante ricorra quest’anno il trentennale della pellicola. Nulla o poco viene mostrato però, la tensione si accumula per strati, per la magnifica scrittura della sceneggiatura che di scena in scena aggiunge parole, morti ossessione, senza fretta. Come il lento scorrere del fiume, come il dolce scivolare sui suoi argini in bicicletta, come il silenzio innaturale delle sue campagne. Il ritmo lento mal si addice al furore dei montaggi contemporanei, ma se si ha la pazienza di armonizzare i colori pastello che si fondono in un unico colore indistinto, il dilatarsi dei tempi narrativi, i dialoghi mai banali sorretti da ottime prove d’attori, una su tutte un Gianni Cavina alcolizzato e disperato, si potrà avvertire l’odore della putrefazione, dell’innominabile lovecraftiano che sorge da dove meno te lo aspetti, l’inquieto incedere di un destino segnato da un paziente superiore assassino, ancestrale quanto il destino stesso. Un nano di ispirazione brechtiana apre idealmente la storia coinvolgendo Stefano nel restauro dell’affresco maledetto e ne richiude materialmente le speranze come chiude le imposte della finestra nel vedere la prossima fine dello sfortunato giovane capitato tra le grinfie di una comunità colpevole che si rispetta cortesemente alla luce anemica del giorno , ma che nel privato lucida gli scheletri che si accatastano nelle case, nella storia, nelle tradizioni. Il paese sa qualcosa, la gente sa qualcosa, tutti sanno tutto e avvolgono la preda di turno come tra le spire di un serpente che senti addosso solo quando le serra togliendo il fiato e gli occhi sbarrati tradiscono l’orrore per l’impotenza della fuga, l’inevitabilità della fine il palesarsi di una leggenda popolare, una diceria che improvvisamente prende vita. La casa dalle finestre che ridono, il luogo in cui il pittore pazzo e sifilitico infieriva sulle sue vittime con la complicità delle sorelle, esiste davvero. E’ una vecchio casolare sulle cui imposte vennero disegnate grosse labbra sorridenti per realizzare il film e che sono rimaste anche dopo diventando sicuramente una curiosità della zona aggiungendo mistero e leggenda ad una terra che su queste superstizioni ha costruito il proprio mito.
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