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Chato

Regia di Michael Winner vedi scheda film

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La recensione su Chato

di giurista81
6 stelle

Un Michael Winner prossimo a sbancare i botteghini con Il Giustiziere della Notte (1974) dirige e produce un film che emula il copione del coevo Nessuna Pietà per Ulzana (1972). Lo script è semplice ed è tutto giostrato sulla caccia all'indiano condotta da un gruppetto di mercenari guidati da un nostalgico ufficiale sudista (un Jack Palance meno gigione del solito). Qualche critico vede nel plot un omaggio a Moby Dick e la cosa, forse, non è poi così sbagliata. Qualche anno dopo, Charles Bronson interpreterà il ruolo del protagonista di un western (Sfida a White Buffalo) esplicitamente ispirato al romanzo di Melville. Qua, al posto del capodoglio, abbiamo un uomo ritenuto colpevole di aver ucciso uno sceriffo all'interno di un saloon. A nessuno interessano le modalità dell'atto, in quanto l'assassinio è stato commesso da un indiano e questo non può accampare i diritti dei bianchi, per cui la legittima difesa non viene presa in considerazione. Vien da sé che, pur parlando di giustizia, ad animare gli inseguitori è quell'odio tollerato dal sistema e quindi benzina utile ad alimentare l'odio razziale.

Chato è costretto a fuggire, pur sapendo di esser inseguito da un gruppetto di mercenari. La storia si dipana così in territorio indiano (soluzione che abbatte i costi di produzione), tra lande desertiche costeggiatie da pareti rocciose, serpenti a sonagli che finiscono scuoiati in primo piano e canyon che rendono la spedizione una vera e propria disfatta. Un silenzioso e altamente erotico Charles Bronson, per metà film semisvestito (grande phisique du role), si muove con abilità camaleontica nel suo habitat naturale eliminando, uno a uno, i suoi inseguitori in un contesto ambientale che viene presto ad assumere i contorni di una sfida infernale. Tornano i temi del revisionismo western della New Hollywood, dato che i bianchi sono assai più brutali degli indiani. Li vediamo parlare tanto della follia apache e dei modi brutali dei pellerossa, persino invocare Dio e rivolgergli preghiere salvo commettere stupri a danno delle indiane e scannarsi tra loro. Insieme al revisionismo western echeggia il dramma del Vietnam, una guerra in cui la superiorità tecnica e numerica deli Stati Uniti dovette fare i conti con la maggiore conoscenza territoriale del nemico, proprio come il folto gruppo comandato dall'ex ufficiale sudista deve fare i conti con un avversario assai più abile e strategico in quel territorio.

Il registro filmico è quello europeo. Winner muove la macchina da presa, gioca con gli zoom e cerca inquadrature a effetto, sposando quel realismo proprio del western italiano. La violenza è sbattuta in primo piano e passa da stupri a punizioni corporali che comportano bruciature di testicoli nonché scalpi col cranio sanguinante ripreso in primo piano. Muoiono anche i cavalli, sia a seguito dei colpi di calore, ma anche perchè abbattuti dalle fucilate di Chato che, ben protetto dai massi, spara con precisione chirurgica. Gli avvoltoi non perderanno tempo a banchettare, ma anche i protagonisti coglieranno l'occasione per cuocere delle belle bistecche al sangue.

La colonna sonora non si lascia ricordare. .  

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