Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Quello di Così bella, così dolce (l'originale era semplicemente Une femme douce, ma vai a capire i traduttori italiani) può essere definito, con un lieve paradosso, un kammerspiel con flashback in esterni. Perchè la maggior parte della storia si svolge nella camera da letto dei due protagonisti e il ruolo predominante è per i dialoghi, che vanno ad approfondire le dinamiche psicologiche nel rapporto fra i due (e fin qui è kammerspiel come da definizione), ma c'è anche una consistente serie di flashback a raccontare invece i fatti concreti, le vicende che hanno condotto all'attuale situazione di stallo (il più estremo, totale stallo possibile, cioè quello della morte). Il mix ad ogni modo funziona: Bresson parte da La mite di Dostoevskij, ma sostanzialmente in questa sceneggiatura mette molto più di sè stesso che dello scrittore russo e del suo romanzo breve; sapendo perfettamente quello che vuole, il regista indaga (spesso con lunghi, laconici silenzi) negli animi dei due protagonisti e scava a fondo alla ricerca delle radici di un malessere esistenziale probabilmente - questa sembra essere la tesi del film - innato nell'essere umano. C'è chi nasce vittima e chi carnefice, chi si porta addosso tutte le pene e le sofferenze altrui (non prevedendo alcuna possibilità di riscatto o soltanto di replica: l'omicidio è un pensiero che passa presto, sopraffatto da quello del suicidio) e chi è inconsapevolmente colto da una follia sottilissima, ma maniacalmente sadica. E' l'esordio della ventenne Dominique Sanda, mentre ritornano collaboratori già al fianco di Bresson in lavori precedenti come Jean Wiener (musiche), Ghislain Cloquet (fotografia) e Raymond Lamy (montaggio). Se il ritmo è sonnolento e la storia per nulla vivace, quantomeno ci si consoli con l'ennesimo magistrale finale 'alla Bresson'; in una sequenza perfetta di una manciata di secondi appena, il regista ci consegna tutta la morale dell'opera: lui che chiede al cadavere di lei di aprire gli occhi, anche solo per un secondo (ma la sua follia non è quella di un innocente, non siamo in Ordet di Dreyer, qui i miracoli sono negati a priori) e quindi le viti della bara che vengono strette (Moretti intanto osserva e ringrazia). L'esperienza terrena, Bresson ce lo ricorda ancora una volta, è incomprensione, frustrazione e dolore: un pessimismo lancinante, nel quale la fioca luce di una speranza tutta cattolica, di film in film, abbandona il regista. 6/10.
Il titolare di un banco dei pegni si invaghisce di una bella cliente. Cominciano a frequentarsi, nasce l'amore, ma la relazione è perennemente in crisi a causa della gelosia dell'uomo. Finchè la ragazza si ammala, comprendendo l'insostenibilità della sua situazione.
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