Regia di Mark Raso vedi scheda film
Che peccato.
Padre ex fotografo affermato ha un cancro in fase terminale e si fa accompagnare dal figlio, con cui è in pessimi rapporti, in un viaggio per sviluppare delle fotografie in analogico. Nulla di nuovo penso, di film del genere se ne sono visiti a migliaia, ma da subito spero che non cada nel banale, non so, che padre e figlio non si ricongiungano, che il figlio non si innamori dell'infermiera del padre, che alla fine quelle foto non siano ritratti dell'amato pargolo quand'era bimbo. Deluso sotto ogni punto di vista; ogni singolo clichè si concretizza nello svolgersi narrativo di questo film. Fosse tutto qui, il problema non si porrebbe, di film brutti e telefonati ne ho visti e ne vedrò ancora, dimenticandoli poco dopo, il punto è che in questo caso tutto ciò che circonda la trama è trattato egregiamente: dalla profondità dei dialoghi (su arte, felicità, relazioni, lasciti), alla nostalgia per l'analogico (che sottoscrivo, non a caso il film è girato in 35mm) facendo del viaggio una sorta di itinerario all'incontrario sulle tracce del tempo. Ci sono anche delle scelte di regia legate a quel finale così scontato che non dimenticherò (splendida l'uscita di scena del fotografo circondato da macchine fotografiche scattanti, una sorta di tre spari di commiato, di onore alle armi). Che peccato, quindi, perchè questo film poteva veramente essere un piccolo gioiello, proprio come una pellicola Kodachrome.
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