Regia di Mark Raso vedi scheda film
Netflix Original.
Non è mai troppo tardi per recuperare il tempo perduto. Chiaro, solo nelle favole tutti i pezzi finiscono al loro posto concorrendo alla composizione di un puzzle perfetto, ma talvolta basta trovare quelli giusti per cantar vittoria.
Un boccone può essere amaro e un viaggio cominciare avendo in mente una stella polare che poi rimane lontana, ma quando un’esperienza è condivisa, capita di non tornare comunque indietro a mani vuote.
Le priorità mutano: solo alla distanza è possibile comprendere cosa valga maggiormente la pena conquistare.
Matt (Jason Sudeikis) è un manager musicale sull’orlo del baratro. Per rimanere in sella, deve convincere un gruppo di successo a lasciare la Sony per lavorare al suo fianco.
Ben (Ed Harris) è un fotografo con i giorni contati. Come ultimo desiderio, vorrebbe raggiungere l’unico laboratorio ancora attivo in grado di sviluppare le pellicole Kodachrome, al fine di portare in vita un materiale prezioso.
Ben e Matt sono padre e figlio. Dopo anni di lontananza, grazie all’intercessione di Zoe (Elizabeth Olsen), i due s’imbarcano in un lungo viaggio, con l’obiettivo di agguantare la loro ultima chance.
È un’occasione irrepetibile, anche per conoscere meglio se stessi e lasciarsi nel migliore dei modi.
Ritornando alle due frasi di apertura, Kodachrome propone una grande varietà di argomentazioni, nelle quali si disperde senza riuscire ad attribuirgli un valore consistente.
Come scelta costitutiva, si adopera nell’apertura di un forziere ricolmo di elementi. In ordine di presentazione, abbiamo la passione per la musica, un rapporto irrisolto tra padre e figlio, l’importanza di godere di quelle piccole cose che dovrebbero essere linfa vitale, l’amore e considerazioni sul conflitto tra analogico e digitale, tra una singola foto incorniciata che si adora all’infinito e un ammasso di file destinati a rimanere abbandonati su un hard disk esterno riposto in un armadio, tutto centrifugato nell’ottica di un road movie.
Partendo da questi ingredienti, è chiaro come Kodachrome sia una pellicola dalla genesi profondamente derivativa, che preleva scaglie da altri film, ai quali la memoria vola rapidamente. Niente di male, non si può sempre pretendere di assistere a illuminanti discettazioni sulla vita ma Jonathan Tropper (sceneggiatura) e Marc Raso (regia) rimangono incagliati in questo maelstrom di elementi.
Fortunatamente, non fanno quadrare tutti i conti, ma ci arrivano comunque tremendamente vicini, con alcune virate a dir poco spericolate, in un fraseggio che richiede agli interpreti un importante contributo, senza nemmeno usufruire di un rilevante aiuto dall’alto. La scelta di affibbiare a Jason Sudeikis il ruolo principale è stridente: proprio nel suo personaggio risiede il centro di gravità del dispositivo, ma il più delle volte pare un pesce fuor d’acqua, in perenne difficoltà nel coadiuvare l’importanza dei passaggi. Funziona assai meglio Ed Harris in versione decadente e scontrosa, al punto che è quasi impossibile credere alla discendenza diretta tra i due, per quanto la scelta – forse (se vogliamo essere buoni e dotati di fervida immaginazione) – serva ad avvalorare una volta di più il gap insito tra il passato e il presente: la pasta dei due è completamente dicotomica. Invece, Elizabeth Olsen è, come sempre, graziosa, un fiore da cogliere, ma – come troppo spesso accade – rimane bloccata in una posizione subordinata (vedi anche I segreti di Wind river).
Tanti motivi che spingono a non abbassare la guardia, anche quando il film – nel suo dispiegarsi vagamente ricattatorio e assolutamente premeditato – trasmette valide emozioni, quelle che, seppur ripetute fino alla noia, portano alla profusione di empatia, nel loro transitare dai tormenti a gesti affettuosi.
Alla fine, Kodachrome ha automatismi cigolanti, è flebile nei momenti chiave, si accende per poi spegnersi senza preavviso, risultando incauto nel predisporre argomenti di facile trattazione, compresa una colonna sonora che va a colpo sicuro (tanto per dire, Just breathe dei Pearl Jam si sente quasi per intero) senza lasciare traccia.
Pretestuoso, non indigeribile, ma per un cinefilo è gustoso come può esserlo una patata lessa offerta appena dopo aver ultimato un banchetto di prima qualità.
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