Regia di Ernst Lubitsch vedi scheda film
Testamento cinematografico di Lubitsch, dove il suo celebre "tocco" mostra una ricchezza di sfumature e una brillantezza di trovate da farne un piccolo gioiello
"Il cielo può attendere" è il vero testamento cinematografico di un maestro della commedia sofisticata come Ernst Lubitsch. Girato in un raffinato Technicolor, usato per la prima volta dal regista, il film ci da' un ritratto di un dongiovanni impenitente, Henry van Cleve, che per tutta la vita non ha saputo resistere alla tentazione rappresentata dal potere di seduzione femminile, anche quando si è sposato con la bella Martha Strabel a cui non è riuscito a restare fedele, e adesso deve essere giudicato nell'aldilà da un personaggio chiamato sua Eccellenza. La sceneggiatura di Samson Raphaelson segue il percorso umano di Van Cleve dall'infanzia fino alla vecchiaia e non ne fa mai una facile caricatura, riuscendo a dargli una dignità e una simpatia nonostante il suo temperamento frivolo e volubile. I personaggi sono tutti disegnati con affetto e partecipazione umana, rendendolo uno dei film più sensibili e toccanti dell'autore; molto bello in particolare quello della moglie Martha, che continua ad amare Henry fino alla fine chiudendo un occhio sulle sue scappatelle. E c'è una magistrale direzione degli attori, con un Don Ameche qui sicuramente nel miglior ruolo di una carriera non eccelsa, davvero a suo agio nel ruolo di Henry, ma anche una Gene Tierney di bellezza incredibile e sottile espressività e navigati caratteristi come Charles Coburn ed Eugene Pallette. Il tipico "Lubitsch touch" qui mostra una ricchezza di sfumature e una brillantezza di trovate umoristiche e sentimentali da farne un piccolo gioiello; fu uno dei suoi maggiori successi commerciali, accolto molto meglio rispetto al precedente capolavoro "To be or not to be", incompreso alla sua uscita. Sembra che esista un finale alternativo, ma io ho visto solo quello dove Van Cleve prende l'ascensore per "i piani alti".
Voto 9/10
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