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Suspiria

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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La recensione su Suspiria

di giurista81
7 stelle

 

Il candidato al Premio Oscar Luca Guadagnino confeziona il suo tributo al film che più di tutti lo ha emozionato: Suspiria di Dario Argento. Il suo Suspiria però è un film molto diverso da quello di origine (a sua volta ispirato dal Suspira de Profundis di Thomas de Quincey), un'opera che parte dalle medesime premesse pur cambiando location (da Friburgo a Berlino) e prendere una strada e uno sviluppo completamente diverso. In comune c'è l'arrivo di una ballerina americana in una scuola di danza tedesca, in cui si sono registrate delle strane scomparse e che si rivelerà essere un covo di streghe. I punti di contatto tra i due film finiscono qua. La cifra autoriale di Guadagnino è tale da conferire al film un taglio intellettuale, sebbene vi siano momenti a dir poco tremendi e con notevoli punte gore. Fortissima la valenza femminista dell'opera, esaltata dai ruoli da fantoccio riservati ai personaggi di sesso maschile, uomini che finiscono in completa balia delle streghe in una posizione di impotenza tale da non esser in condizioni di interferire. Eloquente la figura del poliziotto che finisce dileggiato, completamente nudo, nel covo delle streghe, Viene meno il taglio thriller argentiano sacrificato a un drammatico di impatto esistenziale, con una caratterizzazione ambigua di svariati personaggi, a partire dalla protagonista interpretata dalla brava e assai attraente Dakota Johnson, protagonista dell'erotico Cinquanta Sfumature di Grigio (film sicuramente apprezzato da Guadagnino che ricordiamo regista di Melissa P). Centrale diviene l'elemento del ballo, una danza che differisce da quella classica e persino da quella moderna. Una sorta di coreografia che ricorda i kata marziali, con movimenti secchi, disancorati da stili convenzionali, tanto da dare l'idea di un movimento tribale capace di indurre in uno stato di ipnosi sia chi partecipa sia chi assiste, così da acquisire valenza di un vero e proprio rito sabbatico. Il male si sprigiona da questa energia di gruppo, passa di corpo in corpo al ritmo di una musica pesante, opprimente e ripetitiva, fatta di monotone note, che attribuisce un'inquietudine nel petto dello spettatore tale da stringere il cuore e rilasciare voraci molecole di tensione. Si libera per esser indirizzato laddove le streghe vogliono. Se vogliamo siamo alle prese con una sorta di magia rossa che viene liberata, anziché da un rapporto di natura orgiastica, da un ballo che, a mio modo di vedere, suggerisce comunque a livello simbolico e subliminale la natura sessuale del rituale.

Guadagnino fa tutto questo a piccole dosi. Il suo non è un ritmo serrato alla Dario Argento, ma una lentissima e graduale progressione nei meandri di un male da cui non vi è salvezza. Anzi, si respira alla fine l'illusione che una salvezza vi sia, ma è una mera illusione, è comunque il restare in balia di un potere da cui non è concesso manlevarsi. 

Le streghe dominano incontrastate, persino chi sembra un personaggio positivo in realtà cela i suoi proverbiali scheletri nell'armadio. La sceneggiatura, scritta da David Kajganich (autore specializzato in sceneggiature tratte da soggetti non originali), intreccia episodi diversi, cerca di correlare l'attività delle streghe con i casi di cronaca tedesca, quasi a suggerire un legame tra la politica e l'ambiente underground esoterico e occulto. Come nel film di Dario Argento, a tramare nell'ombra c'è una strega ultracentenaria che ritiene di incarnare lo spirito di Mater Suspiriorum e a cui le altre “sorelle”, in modo democratico (procedendo a voti per alzata di mano), hanno attribuito il potere di direzione della scuola. È tuttavia in corso una disputa interna, tra le varie streghe (tutte insegnanti di ballo), anche se la cooperazione per permettere alla strega ultracentenaria di traslare la propria anima in un corpo fresco e snello sembra procedere verso l'obiettivo. Se nel film di Dario Argento le streghe si nutrivano della linfa vitale delle giovani ballerine, qua invece si cerca un nuovo corpo in cui spostare lo spirito, dando così l'idea dell'uomo quale involucro al cui interno alberga la vera essenza dello spirito risvegliato e dunque superiore, quello spiriturale anteposto al decadente materialismo proprio della carne. Il finale, in cui l'orrore irrompe con una potenza visiva e una voglia d'osare (molto kitsch per il suo voler ricorrere al nudo artistico misto allo splatter e al demoniaco) di cui bisogna render merito al regista (omaggi velati a Le Streghe di Salem di Rob Zombie), riserva una sorpresa tuttavia nell'aria. Guadagnino non muove la storia attorno a una strega buona, come lo era stata la Jessica Harper (la ritroviamo qua in un piccolo cammeo), ma giostra tutto su un personaggio indirizzato fin dalla nascita al male.

Cosa ne pensi del ballo che ho scritto, anzi cosa hai provato nel ballare?” chiede Madame Blanc, la mentore della protagonista (con cui ha un velato rapporto saffico in chiave mentale) alla stessa. Dakota Johnson offrirà una risposta alquanto scioccante: “E' stato come scopare.” La Blanc chiederà se la giovane ballerina si riferisca a un rapporto con un uomo, ma la risposta che riceve è ancor più scioccante: “No, è stato come scopare un animale.” Il dialogo in questione è, ad avviso di chi scrive, la chiave di volta dell'opera. La valenza diabolica (provate a sostituire il termine “animale” col sinonimo “bestia”) del personaggio della Johnson, che cozza in maniera sublime con la sua eleganza e la sua bellezza a tratti angelica e innocente, viene evidenziata dai cambi di scena in cui vediamo la madre, in America, sul punto di morire, inferma in un letto di una casa di campagna (look alla Regan de L'Esorcista), automaledirsi durante l'estrema unzione per aver partorito il male più osceno e averlo liberato nel mondo.

Dunque un horror autoriale che fa sfoggio di uno sforzo scenografico a dir poco eccelso, a partire dalle location esterne di una Berlino del 1977 piovosa e innevata, resa spettrale da un fotografia grigia e divoratrice dei colori. Guadagnino trasforma la variopinta atmosfera fiabesca di Argento in una storia terrena e reale, liberata dalla dimensione onirica e vomitata in quella di tutti i giorni per effetto di un indissolubile legame con un dato periodo storico. Musica angosciante, totalmente diversa dal sound dei Goblin, magari meno capace di imprimersi nella mente dello spettatore, ma non meno in grado di ossessionarlo. Il film non induce tanto paura, quando inquietudine costante e continuativa.

In poche parole possiamo dire che si tratta di un'opera che necessita, per esser appresa appieno, di una visione in più rispetto alla prima, non consigliabile a chi cerchi un film di intrattenimento e più indicata a chi voglia penetrare la superficie delle cose per sciogliere i simbolismi e le comunicazioni subliminali di cui il film è intriso. Buone le interpretazioni. Tra le sequenze più meritevoli è da segnalare il parallelismo tra il ballo di Dakota Johnson e la disgregazione fisica di una ballerina ribelle che cade sotto l'influsso malefico del ballo, subendo fratture scomposte che la trasformano in un vegetale come se fosse colpita da un mostro invisibile che agisce sotto l'influsso stregonesco che ammorba la scuola. Notevole poi, per cifra poetica ed erotica (pur senza cadere mai nel volgare), l'inquadratura finale sulla Johnson che appare con una tunica rituale con generoso decollete, massaggiandosi continuamente il petto come fatto fin dal primo momento in cui era entrata nella scuola per poi liberare la sua vera essenza, aprendosi la pelle in un chiaro omaggio alla filmografia di David Cronenberg (si veda Brood – La Covata Malefica o Videodrome). Il legame con la sopracitata pellicola di Zombie torna qua, a mio avviso, a manifestarsi in modo netto. Guadagnino, in chiave artistica, indugiando sullo sguardo estatico della Johnson, conferisce blasfema valenza simbolica in cui il riferimento con la più alta carica femminile della santità cattolica non può certo sfuggire allo spettatore più attento e sensibile. L'intensità maligna viene poi amplificata dalla caratterizzazione all'apparenza positiva e misericordiosa del personaggio della Johnson.

Piaccia o non piaccia, si tratta di una pagina di cinema horror italiano che resterà indelebile nella produzione della “nostra” cinematografica di genere (anche se questo non è un film di genere, ma uno d'autore che veste abiti del genere). Lo ripeto: non è un film per ragazzini o cultori del cinema horror di primo impatto., ma è un horror d'autore.

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