Regia di Raoul Ruiz vedi scheda film
Marcello Mastroianni, al penultimo film in carriera, interpreta 3 (o forse 4) personaggi in uno, che parallelamente scorrono uno accanto all’altro, creando tre vite separate che finiranno giocoforza per riunirsi in un finale forse prevedibile, ma intenso.
Alla fine del film rimane una sensazione. Una sensazione che seppur palesatasi con la parola FINE, si era andata creando tuttavia durante la visione. D’accordo: la poetica di Ruiz, estroso cineasta cileno (con oltre 100 film all’attivo, leggo poi!), è per palati fini, per pochi intimi, certamente d’èlite. Ma “Tre vite e una sola morte” rimane pur sempre un film che necessita di ampie dosi di bicarbonato perché, sperando di non essere blasfemi, per quanto pregiatissimo sul piano formale, sembra comunque un film consapevolmente e ostentatamente surreale, ma di un surrealismo “forzato”.
Per carità, Ruiz non mente a se stesso, rimanendo fedele ad un’originalità sincera, ma si ha l’impressione che mentre gira (e mentre scrive, a quattro mani con Pascal Bonitzer), Ruiz confonda volutamente le acque, nascondendosi dietro la maschera di genio incompreso e, per questo, spesso boicottato dallo star system. La sensazione, eccoci al punto, è che anziché edulcorare questa sua posizione di cineasta indipendente, Rùiz finisce per acuirla consapevolmente. E non è un’operazione onesta.
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