Regia di Daniel Espinosa vedi scheda film
Il limite del titolo viene superato quando una navicella raccoglie reperti marziani che contengono tracce di vita aliena: una scoperta senza precedenti, e di devastante pericolosità. Una sfida tra due specie che non possono coesistere, nonostante gli sforzi. Con appigli smaccati e duri da sostenere verso capisaldi inimitabili del genere.
In una stazione orbitale sopra le nostre teste, una squadra affiatata di sei persone di varie nazionalità è impegnata nel difficile compito di catturare una sonda di ritorno dal pianeta Marte che contiene materiali rinvenuti nel pianeta, utili ad essere studiati.
La capsula va raccolta a causa di una deviazione pericolosa causata da una pioggia di detriti.
Riuscitisi ad assicurare l’importante bersaglio, gli studiosi cominciano ad effettuare studi e prelievi sul materiale terroso prelevato dai macchinari della sonda.
Trovano all’interno una cellula di un organismo vivente e dopo vari tentativi, riescono a riportarla in vita, con la soddisfazione di tutto il mondo che dabbasso li segue con ansia, attribuendo altresì un nome all’apparentemente simpatico e minuscolo “alieno” ritrovato ed accudito, studiato e osservato con un interesse spasmodico.
Quando tuttavia la riproduzione cellulare conduce in poco tempo ad ottenere un essere vivente decisamente più conformato, autonomo e consapevole, e questi comincia a manifestare impellenti istinti di sopravvivenza, ecco che il miracolo si trasforma in una minaccia impellente, con l’alieno che si sviluppa a vista d’occhio e comincia a fuggire, a cibarsi prima di una cavia, poi dei membri dell’equipaggio, che lo cercano, lo inseguono ma non riescono né a catturarlo né a eliminarlo, costringendo l’intero equipaggio a esiliarsi in uno stato di quarantena imprescindibile per non pregiudicare gli equilibri del pianeta sottostante.
Avrà inizio una sfida incalzante per la sopravvivenza, non solo dell’equipaggio, ma di tutto il pianeta da una parte, e di un essere alieno dall’altra che agisce a salvaguardia istintiva delle sue pur legittime ragioni di sopravvivenza.
Daniel Espinosa, regista di origine svedese (pur se con nome smaccatamente ispanico) giovane (classe 1977) ma con alle spalle già 3/4 blockbuster di un certo richiamo (Child 44 e Safe House in particolare), si avventura in un thriller fantascientifico teso e a tratti affascinante che pesca senza preoccupazione, forse anche senza ritegno, da una saga caposaldo della fanta-fiction ancora viva e vegeta oggi dopo quasi quarant’anni (di Alien e fratelli-cloni ovviamente si sta parlando), così come da recenti blockbuster d’autore pluripremiati come Gravity.
Il risultato è alla fine un blocbuster per nulla vergognoso o insostenibile, anzi di buon livello tecnico e buon budget, dignitoso almeno dal punto di vista della suspence assicurata, che si guasta tuttavia non poco soprattutto a causa di una sceneggiatura zeppa di dialoghi banali improntati al piagnisteo o tendenziosamente invocanti un disperato, eroico tentativo di mutuo soccorso (frasi come “passami il defibrillatore” andrebbero vietate, tanto più in una navicella spaziale) tra superstiti, tutti destinati ad un penoso sacrificio a prezzo di un curioso e scorretto sberleffo finale.
Infatti, senza pur voler aggiungere nulla alla piccola sorpresa finale, la soluzione della vicenda lascia abilmente aperti scenari apocalittici devastanti che si spera restino tali e non suscitino tentazioni di eventuali futuri e magari lucrativi sequels forzati.
Il cast multirazziale risulta sin troppo affiatato, e vede coinvolte in particolare due star maschili piuttosto intercambiabili quanto a versatilità ed avvenenza – la coppia Jake Gyllenhall-Ryan Reynolds (ma qui e per la prima volta dopo tanto tempo Ryan Reynolds si accontenta, rispetto al suo socio, di un ruolo secondario e sacrificale, pur se fondamentale per lo sviluppo narrativo della vicenda); affianca i due divi una dimessa ma tenace Rebecca Ferguson, pure lei svedese come il regista, ma già avvezza alle super produzioni made in Usa.
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