Per salvare i suoi territori dall'attacco del conte Keller, la duchessa Patrizia si risolve a un matrimonio di convenienza con il principe Stefano. Ma Lucio di Rialto, con i suoi uomini, provvede a sistemare Keller e a far innamorare di sè Patrizia. Gli intrighi non sono però ancora finiti.
Nel 1961 uscivano frotte di pellicole in costume, principalmente ispirate a fatti storici, magari romanzati, o a episodi quantomeno leggendari; La rivolta dei mercenari è una delle rare eccezioni che confermano tale regola. Le vicende di Lucio di Rialto, del conte Keller e della duchessa Patrizia sono del tutto inventate dal folto team di sceneggiatura dietro al lavoro, composto da un quintetto di firme fra le quali spicca senza dubbio quella di Luciano Vincenzioni, futuro pezzo da 90 del cinema nostrano; gli altri coautori sono Antonio Boccacci, Edoardo Falletti, Carlo Musso e il regista Piero Costa. Attivo quasi solamente nella seconda metà degli anni Cinquanta e nei primi Sessanta, Costa giunge qui alla sua penultima regia e chiuderà la carriera condividendo la macchina da presa con Roberto Bianchi Montero, l'anno seguente, per Un alibi per morire. La sua scarsa destrezza non sorprende più di tanto: in quegli anni il cinema italiano stava diventando una grossa industria e cominciava a esserci spazio per lavori (e, conseguentemente, lavoratori) di qualità modesta, destinati a incontrare i favori di un pubblico annoiato, poco propenso a spendere (all'epoca il cinema era uno svago a basso costo) e facile ad accontentarsi. Già dal titolo La rivolta dei mercenari non ispira molta fiducia: a ragione, poichè la storia è abbastanza intricata, ma non molto originale, la messa in scena è approssimativa e anche le emozioni non abbondano nè in quantità, nè in qualità. Co-produzione fra Italia e Spagna, come si vede dai nomi sulla locandina: Virginia Mayo, Livio Lorenzon, Susana Canales, Franco Fantasia, Conrado San Martin, Marco Tulli, John Kitzmiller, Enzo Fiermonte e via dicendo. 2/10.
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