Regia di Jonas Åkerlund vedi scheda film
E venne il giorno che anche il Black Metal ebbe il suo biopic all'americana. Di scandinavo c'è il regista, che girava videoclip per i Roxette, l'ambientazione e qualche voce fuori campo: il resto viaggia su sentieri già ampiamente battuti da operazioni simili. L'impalcatura ricalca grossomodo quella di SLC: Punk! (1998), con la sua progressione allegro-dramma-redenzione-allegretto, perfino la battuta finale "poser", prima dei titoli di coda, è praticamente la stessa rimaneggiata.
Liberamente ispirato alle vicende dell'Inner Circle, sorta di covo per adolescenti vagamente borderline, in crisi ormonale, con il pallino per la musica estrema e film horror di seconda scelta. Tra roghi di chiese architettonicamente pregevoli, il suicidio di Per Ohlin e l'omicidio di Euronymous, rispettivamente voce e chitarra dei Mayhem, la storia è facilmente consultabile. Nonostante abbia perso ogni traccia di mistero da quando è spuntato internet, e nonostante il grosso della storia sia riconducibile alla noia, al poco sole e alla birra a bassa gradazione dei supermercati norvegesi (legislazione ostile, superalcolici costosissimi, ci si gonfia la pancia così ndr.), quello del Black Metal dei primi 90' è un contesto che fa ancora folklore tra appassionati e curiosi.
Åkerlund alla regia non farebbe neanche troppo male a mettere le cose in scena per quello che sono, una mascherata, se non fosse che la fa fuori dal vaso per certi pruriti da cowboy, tra cui la dose raccomandata di seni e corpi sudati. Un paio di scelte del casting aumentano la sensazione di straniamento: la parte di Euronymous tocca alla versione corvina di Macaulay Culkin mentre per quella del suo carnefice, l'arcinoto (e antisemita) Varg Vikernes, viene scelto un interprete di origine ebraica. Al di là dello sfottò e del simpatico siparietto innescato con il vero Vikernes - ironia della sorte uno dei pochi veri creativi nel genere - la somiglianza fisica è così poca da risultare sgradevole. Tale Emory Cohen fa a tratti un lavoro mastodontico per sopperire alla mancanza e risulta forse il più credibile della compagnia, un controsenso assoluto.
I tre momenti cruenti, quello girato meglio è l'omicidio dell'omosessuale nel parco, rappresentano il salvabile.
Tenendo le musiche così sotto le righe, una soluzione interessante sarebbe potuta essere quella del mockumentary serio, secco e asciutto: è più probabile che l'obiettivo fosse produrre qualcosa di rapidamente smerciabile. Nel complesso un'occasione mancata, dove il setting, da protagonista potenziale, si defila presto, per lasciare spazio a livelli di analisi più superficiali.
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