Regia di Francesco Prisco vedi scheda film
Due coniugi sopra i cinquanta, con figlia incinta in procinto di sposarsi con un vigilante immaturo e goffo, decidono di sacrificare la casa comprata con anni di risparmi cedendola alla figlia, e trovandosi un appartamento in affitto in una zona popolare che aspira a diventare un quartiere modello. Peccato che, pochi giorni dopo essersi installati nella nuova abitazione, la coppia viene circuita da quattro loschi individui che li obbligano a tenere presso di loro dei pacchi con all’interno della refurtiva sospetta. Divenuti ostaggio dei delinquenti, i due coniugi si trovano a dover affrontare, non senza una buona dose di comicità, le situazioni imprevedibili legate alla presenza della refurtiva, ai rapporti con la banda, gestendo il via vai del parentado, tra matrimonio sempre in forse, e altri imprevisti sempre più difficili da gestire senza rischiare di perdere il precario controllo della situazione.
Francesco Prisco, autore dell’interessante Nottetempo, si cimenta questa volta con la commedia leggera che non rinuncia ad un sottofondo cronachistico incentrato su inquietanti forme di prevaricazione ai danni della cittadinanza più indifesa e sottomessa.
I toni si mantengono leggeri, gli interpreti, Rocco Papaleo e Laura Morante, collaborano con ironia e un certo divertimento, oltre che con la spigliatezza e la verve recitativa che li ha sempre contraddistinti: ostentando lui il possibilismo flemmatico del suo personaggio-tipo ormai noto, indolente ma senza ostentazione, mentre lei definendo ancora una volta il ritratto ormai noto della donna sempre su di giri e nervosa, irritabile, ma padrona della situazione, secondo un’alternanza comica di calma apparente ed isteria esagitata con cui da sempre la brava attrice grossetana ci ha abituato a disegnare i suoi personaggi, da qualche anno finalmente protesi generalmente verso una sfera più da commedia leggera.
Corretti e simpatici gli altri comprimari, trai quali spicca su tutti il solito ottimo Massimiliano Gallo. Ma il film rimane sempre un po’ sottotono, come in attesa di esplodere in gag ritmate che invece sembrano sempre ritardate continuamente alla successiva situazione.
Come per molte altre produzioni "leggere" attuali, scientemente figlie del tempo che viviamo, persiste e ci coglie puntuale anche in tal caso, a fine film, quel senso di disagio che ci prende sempre più spesso e frequentemente quando ci si ritrova in zona "commedia italiana"; domandandoci, a tal proposito, le ragioni per cui ci si debba sempre sentire, a casa nostra, in dovere di smorzare i toni, di edulcorare paesaggi e situazioni, stili di vita, persino case e arredamenti, come a trovarsi dinanzi ad uno spot pubblicitario quasi sempre inverosimile e stereotipato.
Il genere della commedia è corretto che rappresenti la leggerezza del vivere in un contesto quotidiano reale, con contesti anche drammatici, seppur adeguatamente addolciti e smorzati, ma non per questo, a mio giudizio, è conveniente ricorrere puntualmente, come anche qui a mio giudizio avviene, allo stereotipo più puerile, che falsa ed appiattisce contesti e situazioni, location e sviluppi, contesti familiari e di vita, come a volersi proteggere e rifugiare in un contorno fiabesco sempre uguale e sempre troppo inverosimile.
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