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Thelma

Regia di Joachim Trier vedi scheda film

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La recensione su Thelma

di mck
8 stelle

La protagonista “nascosta e segreta” di “Thelma” è Anja, su di lei grava il fulcro del film, su di lei è riversata la morale, tutta racchiusa nella differenza che passa e sta tra il credere di essere felici e il sapere di esserlo.

 

IperBoreale FennoScandinavia, o: the (Very/“Other”) True North / 1 : “SameBlod” (SVE), “Thelma” (NOR), “Nooit Meer Slapen” (OLA). 

 

 

1.2 – Thel(e)ma (la sconsiderata desiderante) & Anja (l'oggetto - considerato come tale, disumanizzato, non percepito come soggetto umano proprio simile e prossimo - del desiderio). 

 

 

Acqua e ghiaccio e fuoco (greco/romano, cioè bizantino, quindi idrorepellente, come neanche SpongeBob spalmato di paraffina che accende un falò sottomarino). 

 

 

E, al di qua/là del vetro della finestra (con una ciocca di capelli rimasta inglobata in esso, a dialogare col crine trovato tra le lenzuola e lasciato riposare sul cuscino), l'immagine di lei ("che guarda fissa un suo sussulto fuso nel vetro / che le ricorda tanto un suo sussulto") allo specchio (scuro), che si vede risucchiata scomparire in un cristallo lynchano. 

 

 

Cappuccetto Rosso, Hansel & Gretel, Pollicino: tutti quanti racchiusi in un fucile puntato verso il basso, vale a dire, in questo dato caso, proprio all'altezza della testa. Ed è già "tutto", con una mossa consapevole e volontaria da parte del regista verso lo spettatore, "chiaro". Poi, dalla foresta passiamo all'Agorà, in apertura e in chiusura (sequenze che più depalmiane non si può), e dall'Agorà all'aula scolastica: il principio di indeterminazione di Heisenberg suggerito in una stringa di lezione scelta, “...può essere sia una particella sia un'onda, a seconda dello strumento che stiamo utilizzando...”, che ricomparirà nell'intermezzo, affiancato dal principio di sovrapposizione, il paradosso del gatto/Anja di Schrödinger, con, inoltre, un richiamo a - e una similitudine con – il momento della sparizione del neonato in “the Vvitch”). 

 

 

Di una singola particella non possono essere conoscibili, in un dato istante, e insieme, la sua velocità-direzione e la sua posizione-momento: una singola particella, insomma, risulta essere non-conoscibile nella sua interezza. Si comporta come un'onda, con indici di probabilità differenti: è come se l'onda potesse 'diventare' particella in un punto piuttosto che in un altro della sua frequenza, in un modo non prevedibile. Nel loro insieme le particelle si comportano come un corpo, prese singolarmente, però, i loro andamento e velocità, e le loro traiettoria e posizione, sono costituiti solo da delle probabilità statistiche. Qualsiasi tentativo da parte di un osservatore esterno di individuare queste misure e queste quantità disturberebbe il sistema e renderebbe inutili i calcoli. A questo livello sub-atomico la distinzione tra velocità e posizione non ha (più) senso. La fisica nucleare si comporta differentemente dalla realtà (Galileiana, Newtoniana) che possiamo percepire con i nostri sensi: e cosi è il Cinema per la Realtà: il Cinema lavora, più di tutte le altre arti, con l'Oida (ovvero: vedo, osservo, guardo, scruto e dunque so, comprendo, capisco, conosco: nulla di più sbagliato, niente!). 

 

 

E questo deve spronarci a vedere, osservare, percepire e cercare qualcosa oltre la Trama della Realtà: lo sprone a combattere per poi assimilare il Primato della Percezione.
Per dirla con Mark Twain: “Non puoi fare affidamento sui tuoi occhi quando la tua immaginazione è sfuocata”.
Da qui ai superpoteri il passo è...folle. Grazie all'Homo, però, a tracciare questo sentiero con impronte d'inchiostro ci han pensato Michio Kaku con “Fisica dell'Impossibile” del 2008 (ed. it. Codice) e, più fumettosamente, James Kakalios con “la Fisica dei Supereroi” del 2005 (ed. it. Einaudi). Joachim Trier, invece, prende la direzione opposta, con la stessa, identica onestà divulgativa/narrativa. 

 

 

“Come” (le virgolette intendono evidenziare la disparità artistica non quella concettuale tra le due opere) per Laura Palmer, tutta l'incertezza del mondo viene cementificata e trascesa in un urlo, contenuto in un battito di palpebre, che sancisce l'inestricabile eternarsi tra essere e non essere, durante e lungo quel (vecchio) tratto di pellicola non impresso e sviluppato tra un fotogramma e l'altro, gli 0 tra gli 1, tra il percorso che la luce compie dalla sua fonte verso il volto di lei per poi essere rimbalzata sul vetro/specchio della finestra ed essere rispedita nella camera oscura delle di lei pupille, l'attimo in cui la luce... →

 

 

← ...inghiotte il buio, e, viceversa, l'oscurità divora il bagliore, il momento in cui due stati dell'in/esistenza possono coesistere, Anja e il fratellino di Thelma sono e non-sono, simultaneamente, schrödingerianamente (Paradosso del Cat in the Box, Principio di Sovrapposizione), fino a quando Thelma non deciderà di ri/aprire e/o ri/chiudere gli occhi, serrandoli spalancati, intermittenti: sognando e svegliandosi, di nuovo, e riprendendo a sognare e a destarsi, ancora: non potremo, mai, coglierne l'essenza, heisenberghianamente (Principio di Indeterminazione, Collasso della Funzione d'Onda).

 

[Thelma, ancora in modo inconsapevole, "conforma" (morphing) Anja al suo volere: desiderio/appagamento/gratificazione/conforto. Attenzione, nella "sequenza" di 4 fotogrammi vi è un intruso: per l'appunto, "oida": occhi (della mente) aperti!]

 

Ideale terza parte di un trittico che percorre, tagliandola trasversalmente in due da sud-ovest a nord-est, mezza Europa, dalla Francia alla Norvegia passando per la Danimarca, e comprende “Grave/Raw” (con in aggiunta a tutto il resto, cioè al sesso, l'ambientazione universitaria) e “Når Dyrene Drømmer/When Animals Dream” (con una puntata oltreoceano nel remake del cormaniano “TeenAge CaveMan” di Larry Clark), questo “Thelma”, opera 4a (dopo “Reprise”, “Oslo, 31 Agosto” e “Louder Than Bombs”) di Joachim Trier, scritta col sodale Eskil Vogt (regista in proprio di “Blind”), è l'espansione sessuale del fondativo 8° (73°) ep. della 3a stag. di “the Twilight Zone”, “It's a Good Life”, da Jerome Bixby (l'autore di “the Man from Earth”, la sua ultima sceneggiatura messa in scena dieci anni dopo la morte), dei suoi due remake -{quello di Joe Dante (con lieto fine...), contenuto in “Twilight Zone: the Movie” del 1983 e quello dei Simpson, ”the Bart Zone”, nel “TreeHouse of Horror” n. 2 [il 7° (42°) ep. della 3a stag.] del '91, senza scordare il sequel, “It's Still a Good Life ”, il 30° ep. del 2° revival, quello del 2002: “No lesson to be learned here. No morals to be taught.”}-, del “FireStarter” di Stephen King (portato sullo schermo da Mark L. Lester nell'84) e del “Fury” di De Palma (da John Farris), ovvero, come diceva quello: da grandi poteri (non circoscrivibili con un rosario e non arginabili sgranandolo) derivano grandi responsabilità. 

 

 

Certo, di questo passo si potrebbe finire in un batter d'occhio balenante (oltre che a bordo della "USS Calister", il 1° ep. della 4a stag. di "Black Mirror", ch'è pure il miglior ep. di "Star Trek" da una vita...) col rimembrare e riconsiderare tutte le infanzie e adolescenze Marvel e DC, ma in realtà le opere che più si accostano per tematica portante a questo lavoro di Joachim Trier sono le 5 stag. della creatura di Howard Overman, “Misfits” (anche se “Thelma” non raggiunge quel livello di dramedy camp/pop: “Usa il tuo potere, aiuta la gente, sii un supereroe, scopa la tartaruga!”), e soprattutto le due “Carrie” di due autori appena summenzionati: S. King e B. De Palma. 

 

 

L'ottimo comparto tecnico costituisce una affiatata squadra: il direttore della fotografia (Jakob Ihre), il montatore (Olivier Bugge Coutté, al lavoro anche su “Bridgend” e “Virgin Mountain”) e l'autore delle musiche (Ola Fløttum, all'opera anche per “Turist/Forza Maggiore”) hanno collaborato a tutti e tre i film precedenti del regista, e qui danno ognuno il meglio di sé.
Eli Harboe (Thelma), semi-esordiente, e Kaya Wilkins (Anya), modella e cantante al suo vero esordio davanti alla MdP, e Henrik Rafaelsen e Ellen Dorrit Petersen (i genitori di Thelma, già coniugi per il co-sceneggiatore Eskil Vogt nel suo esordio dietro la MdP, “Blind”, e protagonisti di una storyline intrecciata e parallela non meno interessante rispetto a quella costituita dal binomio Thelma-Anja, ma forse più sacrificata all'essere funzionale a reggere l'impalcatura della trama tra annessi, connessi e pre-, pro- e re-gressi, senza per questo risultare meramente accessoria) compongono un cast estremamente valido. Nota di merito finale per Anders Mossling, il dottore (la 4a stag. di “Bron/Broen”, in onda da gennaio 2018). 

 

 

Link (un po' pedissequi e ridondanti ma non sterili e anzi) utili (quasi ½ dei fotogrammi utilizzati per illustrare questa pagina li ho estrapolati da lì) :
- http://montagesmagazine.com/2017/11/joachim-triers-thelma-2017-part-i-what-does-it-all-mean/
- http://montagesmagazine.com/2017/12/joachim-triersthelma-part-ii-handicraft-and-visuality/
- http://montagesmagazine.com/2017/12/joachim-triers-thelma-part-iii-the-epilepsy-test/

 

 

Bruchi, coleotteri, pesci, rettili (e la presenza di una terza generazione si evince preannunciata dallo strisciare di un colubride s'un collo rugoso), uccelli (poco francescane imago dell'oggetto - e non “soggetto”, - del desiderio: Anja), vengono a lei, Thelma: che non aspetta il suo destino, ma lo raggiunge, togliendolo all'amica (irreciproca), amata e “amante(la)”, mettendo in campo un “egoismo generoso” verso la controparte. 

 

 

Anja, guscio svuotato del libero arbitrio (e il film mette in campo la più o meno significativa importanza che si vuol dare a questo concetto biochimico, biofisico e neurobiologico dell'esistenza), è resa - ora volontariamente - da Thelma uno zombie psicologico/filosofico (parafrasando e piegando/torcendo la definizione che di questo non-stato della coscienza diedero filosofi e psicologi quali Robert Kirk, Daniel Dennett, David "Chiodo" Chalmers e Nicholas Humphrey, eterogeneamente) non solo dal PdV sentimentale. 

 

(Attrici, personaggi.)

 

La protagonista “nascosta e segreta” di “Thelma” è Anja, su di lei grava il fulcro del film (ovvero il suo finale, il quale, banalmente, è impossibile da considerare come - per quel che può valere questa definizione - "lieto", per il semplice motivo che l'amore di Anja per Thelma risulta essere non altro che un costrutto artificiale ad uso e consumo di quest'ultima, da essa creato), su di lei è riversata la morale, tutta racchiusa nella differenza che passa e sta tra il credere di essere felici e il sapere di esserlo.  

 

 

(* * * ¾) * * * * 

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