Regia di Joachim Trier vedi scheda film
Una fantasticheria di sublimazione che trapassa a cosa perversa e poi torna magia, e cade sottile – ma mica tanto – nell’orrore.
Joachim Trier, del plurifamoso ‘von Trier’ non ha nulla se non mezzo cognome, e possiede anche metà della sua arte ma, soprattutto, è in grado di fermare la sua carica erotika nella parte esatta in cui deve arrestarsi per perforare l’involucro del testo narrato e portarci tutti dentro al varco della tensione emotiva. Capperindina!... Questo film scandinavo – a voler tirare il passo lungo le confinanze europee, e non scapolare in terra d’altri –, mezzo “Styria” (un discreto passatempo d’ombra e luce, di tre anni fa e timbrato dalla coppia Chernovetzky e Devendorf) e mezzo “Nar dyrene drømmer” (altra bella storia scandinava, impallinata a sangue freddo da criticume e pubblicanza), ha però dalla sua una inconsueta capacità di strappare il grigio del ‘romanzo di formazione’ con vampate improvvise di ‘estetica d’informazione’. Che lasciano tonti. Che sobillano nuova curiosità e stanano, lì che pareva avvertirsi, la sora noia ch’è fedele affittuaria di spelonca dello spettatore bulimico ahinoi!...
Ci mette buono e ci mette tanto, il Trier che alla fine uno sottilmente bisbiglia, facendolo dunque a non voler far accadere che i corvi ci sbattano ai vetri di casa nostra, “Ma qui De Palma avrebbe fatto così”…
De Palma. Ennesima riflessione filosofica sull’amore (lesbo; ma qui è d’incanto una totale immersione nel furore carnale, Ficino docet che è un pomo dolce amaro – a prescindere dall’omogeneità d’organo riproduttivo), che riaccoppia la Venere sdoppiata dalla magnitudo divina, con tremori, terrori, fiamme, lingue, mani tra le cosce, potere sulla natura. De Palma, dunque. Eggià…
Eros ed Ares, per drammatizzare scolasticamente il considerevole lavoro di sceneggiatura di uno come Eskil Vogt (uno che amo; ‘vedete’ e ‘rivedetevi’ spesso quel qualcosa di bellissimo e atroce che è il suo “Blind”!), che non le manda a dire; rapina il cerchio di storie che attorniano Afrodite e pone al centro del nuovo arazzo cinematografico – che fiancheggia la suggestione e sfianca le conoscenze arcaiche che ognuno di noi ha volutamente sotterrato in giardino – l’epilessia, la repulsione, la castrazione religiosa, la violenza dell’immortale nucleo della vita umana. Una ‘copula mundi’ che andrebbe bene sia a pranzo che ad orario di cena, ad entrarci in stanza e farci sussultare e cadere a terra, con bava di immagine e con occhi girati dentro la cavità della nostra agonia. Che chiamiamo vita.
Ma chi sono Thelma ed Anja? Chi è vendicatrice dell’amore (non) corrisposto, e chi è avversaria dell’amore stesso?
Eh no, amici miei, il film va visto ed io mica sono uno ‘spoiler-man’… Fanculo!...
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