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Dark River

Regia di Clio Barnard vedi scheda film

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La recensione su Dark River

di supadany
6 stelle

Torino Film Festival 35 - Festa mobile.

Il futuro è donna, tanti indicatori lo affermano e con frequenza sempre maggiore. Per dirla tutta, non è una novità assoluta, un po' grazie a una società che lentamente cambia, un po' perché nel frattempo molti uomini si sono rammolliti. In ogni caso, il gentil sesso è più facilmente portato a racchiudere una sofferenza pregressa che tempra l'animo, consentendo la moltiplicazione di quelle forze interiori necessarie a non arrendersi, a fronteggiare i fantasmi del passato, a conquistare ogni quarto di miglio anche in situazioni apparentemente senza speranza.

Dopo quindici anni di assenza, Alice (Ruth Wilson) deve fare ritorno alla fattoria dov'è cresciuta, per la sopraggiunta morte del padre (Sean Bean). Sul posto trova una situazione allo sfacelo e suo fratello Joe (Mark Stanley), che nel frattempo ha condotto l'attività.

I due hanno idee completamente diverse su come gestire la tenuta, mentre il fiato sul collo dei creditori non concede tregua e un indicibile passato contribuisce a peggiorare lo stato d'animo di Alice.

 

Mark Stanley, Ruth Wilson

Dark River (2017): Mark Stanley, Ruth Wilson

 

Per quanto procrastinabili, i conti con quanto vissuto prima o dopo vanno regolati e in Dark river riemerge proprio un passato di rara e disumana violenza, che si rispecchia in un rapporto sorella/fratello che stenta a ripartire, tratteggiando un conflitto di poche parole e tanti silenzi, che equivalgono a un dolore pronto a esplodere da un momento all'altro.

Uno stato d'animo lacerante, quello di Alice, che Ruth Wilson - affermatasi quasi esclusivamente grazie alla sua attività seriale, tra Luther e The affair - accentua in un modo drammaticamente meraviglioso, rimarcando quel macigno sullo stomaco che non si è mai attenuato, nemmeno dopo tanti anni, e che nel presente pesa ancora di più.

Un microsistema familiare comprensivo degli spettri del passato, palesati nella forma di Sean Bean in flashback ovattati, destinato a esplodere in scatti di rabbia, in attesa di un'espiazione necessaria.

Il regista Clio Barnard descrive questo processo inchiodando la visuale su un territorio brullo e dimenticato, scongelando un frammento dopo l'altro, con un passo autoritario pur nella sua progressione pacata, senza troppe parole, sostituite dagli sguardi, e proferite con vigoroso tormento.

Un doppio - della protagonista, ma anche del fratello - accumulo di malcontento, un esempio dimostrativo di quanta fatica serva per trovare un punto d'incontro e come per arrivarci possa occorrerne uno di rottura, non privo di conseguenze devastanti.

Un percorso netto, senza scorciatoie di comodo, ma anche poche intuizioni tali da essere rimarcate.

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