Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film
Questo, che è un film bellissimo, di uno dei più grandi registi d’oltralpe viventi, è stato presentato lo scorso autunno a Venezia, dove non ha ottenuto alcun premio. No comment! Cercherò di analizzarlo, individuandone, senza troppo spoiler, i temi principali.
Armand, suo padre e i suoi fratelli
Dopo il malore, la vita del vecchio padre sembrava essersi bloccata in un limbo senza memoria e senza progetti nel quale, da un momento all’altro, egli aveva smarrito la coscienza, la parola, la mobilità e ogni autonomia: tutto era cambiato all’improvviso per lui e per Armand (Gérard Meylan), l’unico dei tre figli che gli era stato vicino sempre, nella bella casa in fondo alla calanque de Méjean, l’incantevole baia prossima a Marsiglia, che infatti si vedeva in lontananza, nelle limpide giornate invernali, quasi alla distanza di sicurezza sufficiente a impedire che la pace e la serenità del luogo, sovrastato dal viadotto dell’alta velocità, ne venissero disturbate. Méjean che non era mai stata fuori dal mondo, adesso era fortunatamente fuori dal caos convulso della vita di tutti.
Armand, che era vedovo da poco, aveva deciso di non abbandonare il suo vecchio in un istituto e di non tradirne la storia: intendeva portare avanti da solo il bel ristorante sotto casa (ideato, un tempo, per offrire ottima cucina di pesce a prezzi popolari), resistendo alle pressioni e alle proposte vantaggiose di acquisto che gli erano arrivate. Egli non poteva e soprattutto non voleva staccarsi da quell’ambiente e da quella memoria di solidarietà, né dai ricordi legati alla fede, limpida e generosa – forse un po’ utopica – nel comunismo prossimo venturo, che aveva ispirato tutta la vita del padre e dei suoi compagni di lotta, i pescatori del villaggio che in quel locale avevano trovato buon cibo, buon vino, prezzi bassi e un po’ di vita sociale.
Gli era necessario, però, incontrarsi con i suoi fratelli per definire, prima di ogni altra cosa, la sua quota di eredità paterna. Era già lì da qualche giorno Joseph (Jean-Pierre Darroussin), intellettuale comunista in crisi permanente, che, con un passato da operaio, era arrivato a insegnare all’università. Con lui, una giovane fidanzata, Berangère (Anaïs Demoustier), sua ex allieva, confusa e annoiata dai discorsi nostalgici sui vecchi tempi di Armand e di Joseph, il quale condivideva la tenacia quasi ingenua di Armand nel difendere l’antica diversità che lo legava al padre.
Stava arrivando, intanto, da Parigi, Angèle (Ariane Ascaride), che a Méjean non si era più vista da vent’anni, intenzionata a ripartire per Parigi al più presto. Per lei, che era stata una brava attrice teatrale e che ora lavorava nelle serie televisive, Méjean era legata al grande dolore per la morte della sua bimba di sette anni, la cui accidentalità non aveva mai voluto ammettere, convinta com’era della pesante responsabilità di suo padre.
Méjean e i suoi abitanti
Se, come ho detto, Marsiglia era abbastanza lontana, il mondo, al contrario, si era fatto sempre più vicino al villaggio: la globalizzazione e la rapidità delle connessioni, ben più dell’alta velocità, avevano favorito il diffondersi di un nuovo modo di pensare e di organizzare i rapporti umani; il pensiero unico stava appiattendo le culture e mostrava, senza pietà, l’anacronismo delle posizioni ideali di Armand e di Joseph, nobili ma velleitarie e destinate, forse, ad altre durissime sconfitte. La loro nostalgia del passato era un po’ patetica poiché si scontrava innanzitutto con la realtà indiscutibile del ridursi progressivo degli abitanti di Méjean: la crisi economica aveva portato lontano qualcuno di loro, o i loro figli; i pochi rimasti erano invecchiati, qualcuno era morto, qualcuno avrebbe preferito morire per non vedere la decadenza del proprio corpo e l’umiliazione della povertà. Era vivo però un giovane pescatore che di lì non si era mai mosso, in attesa di rivedere Angèle, che da bambino, molti anni prima, aveva ammirato mentre recitava in un teatro di Marsiglia: aveva studiato, aveva fondato una compagnia filodrammatica locale e, ostinatamente, aveva continuato a vivere di pesca, pensando a Claudel e a Brecht: prima o poi, quell’unica donna della sua vita sarebbe pur tornata e forse addirittura avrebbe apprezzato la sua lunga fedeltà!
In realtà il villaggio, con le sue case vuote o semi-vuote era al centro dell’attenzione di speculatori edilizi, pronti a farne un’attrazione per il turismo distratto dei nostri giorni; una sosta al ristorante, un selfie veloce, forse persino un breve soggiorno, poche ore o un paio di giorni, senza badare al prezzo: il trionfo dell’individualismo, l’orrore alle porte, la fine di ogni umana solidarietà, il tramonto dei sogni nobili e generosi del passato!
Nuovi arrivi a Méjean
Sarebbe invece, a sorpresa, venuto presto il momento di riprendere in mano le vecchie e logore bandiere rosse: magari non sarebbero servite alla rivoluzione, ma avrebbero indicato una strada percorribile e avrebbero ridato senso alla vita dei tre fratelli che sentivano di averlo smarrito; allo stesso modo sarebbero tornati utili gli abiti e i giocattoli della figlia di Angèle, rimasti per vent’anni nella sua stanzetta, perché Angèle non li aveva voluti portare con sé.
Nel porticciolo era naufragata rovinosamente un’imbarcazione col suo carico di clandestini nordafricani: molti morti erano stati ritrovati, ma qualche bambino si era salvato sicuramente: per questo la Gendarmerie aveva chiesto in giro notizie, e, anche nel ristorante, Armand e i suoi fratelli erano stati allertati…
Quei piccini, ripuliti, sfamati e rivestiti, però, non erano diversi dagli altri bambini e potevano, anzi, dovevano essere aiutati a superare, nel calore dell’accoglienza, le loro paure e a elaborare, col tempo, i loro lutti!
Con sobrietà pudica, senza retorica, senza insistere nel racconto particolareggiato del dolore, senza prediche inutili, scorre davanti agli occhi degli spettatori la grande tragedia dei nostri giorni, ben simboleggiata dall’immagine straziante delle due manine intrecciate che non vogliono separarsi, e che nessuno dovrà separare in futuro, se davvero si vuole la fine dell’odio irrazionale e della paura insensata che sta avvelenando e distruggendo il nostro vecchio continente.
Un film molto bello, malinconico, ma non triste, aperto, con molte cautele, alla speranza, come non sempre accade nei film di Guédiguian, interpretato dalla squadra dei suoi meravigliosi attori fra i quali, come sempre, si distingue la grandissima Arianne Ascaride.
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