Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Si assiste, attraverso gli occhi e gli occhialoni olmiani di un giovanissimo cameriere, appena uscito dalla scuola alberghiera, ad una cena kafkiana, organizzata per una misteriosa e vecchissima "signora" in un castello tra le montagne. Il tono del film ricorda un po' il "Salò o le 120 giornate di Sodoma" di Pasolini e in parte "Il fascino discreto della borghesia" di Buñuel, anche se lo sguardo stupito del giovane Libenzio ricorda quello del protagonista dell'"Asso di picche" (1964) di Miloš Forman. Ma naturalmente Olmi ha una propria fisionomia ben definita, e "Lunga vita alla signora!" è un'allegoria del potere (democristiano?) sotto forma di Bildungsroman, di cui è protagonista il camerierino in erba. La "signora" si presenta alla cena per ultima, scrutando gli invitati - personaggi uno più squallido dell'altro - con un binocolo da teatro: non parla né mangia; beve soltanto un po' d'acqua con la cannuccia e forse non esiste. Nel frattempo assistiamo ai palpiti amorosi di un altro giovane cameriere per una coetanea, che però gli preferisce un più aitante collega. E alla fine di questa cena delle beffe, Libenzio avrà imparato una lezione che lo aiuterà a crescere: preferirà darsela a gambe per i prati, piuttosto che servire al tavolo quella società che, pur essendo praticamente insussistente, emana un insopportabile fetore di marcio.
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