Regia di Jean Renoir vedi scheda film
Come ci illustra la didascalia iniziale che apre la pellicola La Carrozza d'Oro di Jean Renoir (1952), la commedia rappresentata è una fantasia all'italiana che si scolve nel XVIII secolo nell'america latina, nello specifico in Perù.
Progetto dalla travagliata come ci viene detto nell'esauriente booklet presente nella confezione del film della Raro Video arricchita con vari extra, l'opera doveva essere originariamente diretta da Luchino Visconti, l'allievo di Renoir che aveva lavorato con il regista francese come assistente alla regia in alcuni suoi film, a quanto dice il produttore Alliata, Visconti era una persona molto contraddittoria, tralasciando le considerazioni politiche e la sua vita privata lussosa in netto contrasto con esse su cui il produttore spara a zero ma a noi ora poco interessano, pare che il regista italiano abbia fatto spendere alla produzione 140 milioni di lire di pre-produzione senza essere giunto a nulla, nè ad un copione definitivo e nè a decidere i set in cui girare il film (si parlava di girarlo in Sicilia inizialmente).
Stufi dell'attaggiamento fanfarone e colmo di sufficienza di Visconti, che nel frattempo durante tutto questo ebbe il tempo di girare Bellissima (1951), la produzione complice anche il fatto che il regista tranne con Ossessione (1943) non era una garanzia ai botteghini, decise di silurarlo e dopo aver valutato altri registi italiani, alla fine decisero di chiamare Jean Renoir, il quale fu entusiasta di riprendere i suoi legami con l'Italia bruscamente interrotti dopo appena quattro giorni di lavorazione del film La Tosca (1940), per lo scoppio delle ostilità del nostro paese con la Francia. Alla fine si optò per girare il film negli studi di Cinecittà ed in lingua inglese, per poi doppiarlo in italiano e francese, scegliendo come protagonista Anna Magnani, con cui Renoir finalmente potè intrecciare una relazione professionale a lungo inseguita visto la sua stima verso l'attrice; per agevolare ancor di più la sua perfomance, Renoir italianizzò ancor di più il copione.
Il cinema di Jean Renoir ha sempre avuto una forte componente teatrale, diventando mano a mano sempre più pensato sotto tale aspetto toccando l'apice con il capolavoro assoluto La Regola del Gioco (1939), dove teatro vero e la finzione cinematografica si mescolavano continuamente in una grande commedia corale in cui numerosi personaggi intrecciavano relazioni tra loro. La Carrozza d'Oro rappresenta l'apice della teorizzazione del rapporto cinema-teatro, su cui il regista aveva basato gran parte della fimografia; nel suo ultimo film Renoir si basa sulla commedia dell'arte italiana con le sua maschere ed un forte impianto barocco, la protagonista Camilla (Anna Magnani), interpreta in scena il personaggio Colombina, serva le cui attenzioni sono contese da Arlecchino e il suo padrone Pantalone nella finzione teatrale, la donna giunta nel nuovo mondo in cerca di fortuna, si ritrova al centro delle attenzioni amorose di Felipe (Paul Campbell), interprete a teatro di Arlecchino e che vorrebbe cornonare la loro unione anche nella realtà, Ramon un elegante quanto vanaglorioso torero ed infine il vicerè Ferdinando (Duncan Lmont), il quale colpito dalla rappresentazione teatrale della compagnia italiana a corte e sopreso dai modi spicci e poco codificati di Camilla, s'innamora di costei promettendo come pegno d'amore una carrozza d'oro che aveva ordinato precedentemente e simbolo dell'ossesione di Camilla, la quale vi aveva viaggiato per mesi insieme durante il suo viaggio per giungere in sudamerica.
Le aperture filmiche di Renoir sono sempre originali e nella Carrozza d'Oro il regista con l'apertura del sipario teatrale, fà avanzare con il carrello la macchina da presa in avanti sino ad annullare la finzione scenica e ad immergerci nel film, quindi nel mondo del cinema. La storia come detto in precedenza in effetti è una farsa barocca di poco conto, che al regista serve per sviluppare le proprie idee sul rapporto teatr-cinema e quando un attore o attrice, smette di essere tale nella vita reale e quando finisce il teatro ed inizia la vita, come si domanda verso la fine una sconsolata Camilla, alle prese con la gestione dei suoi tre spasimanti gelosi ed in lotta tra loro.
Seppur inferiore ai risultati toccati nel precedente Il Fiume (1951), il technicolor del nirpote Claude Renoir, offre uno spaccato barocco-decadente di questa aristocrazia nobiliare sempre più prossima al declino, con la sua ostentata opulenza nei costumi e delle location interne del palazzo reale; in effetti se inizalmente si scambia l'inizio del film per un artifizio meramente meta-teatrale, nel corso dello scorrere del film ci si rende conto come in realtà la finzione sia sbattuta in faccia allo spettatore e lo sviluppo delle sequenze, divisie in tre atti, si svolgano proprio come se fossimo immersi in una rappresentazione teatrale con le porte della casa di Camilla, che fungono da ingressi per dietro le quinte e movimenti di macchina che ricordano il precedente capolavoro assoluto del regista la Regola del Gioco, senza dimenticare il teatro nel teatro consisente nella rappresentazione tipica della commedia dell'arte italiana, fatta dalla compania nello spiazzale di una locanda, dove le maschere di Colombina, Allerchino, Pantalone e così via s'intrecciano in perfomance improvvisate e di popolana veracità, da suscitare il divertimento del popolo in contrasto con la fredda reazione dei nobili a corte, i quali disprezzano l'arte popolare e farsesca della compagnia teatrale, bollandola come volgare. Camilla nata e vissuta nella miseria, deve scegliere tra vita e realtà in quale delle due direzioni inprarese potrà essere finalmente sè stessa, con l'incombente ossessione della carrozza d'oro, elemento che rappresenta l'unica cosa posseduta da Camilla ed una possibile svolta in una vita condotta nella miseria sino ad allora; oggetto sulla bocca di tutti i personaggi la cui presenza in scena viene centellinata sino alla scelta inconsueta da parte di Camilla sua sua destinazione finale. Un film imporvvisato nel senso buono nel termine, grazie anche all'ottima recitazione spontanea ed esuberante di una Anna Magnani a suo agio con la "popolanità" del personaggio che interpreta, con una perfetta gestioent ra teatralità classica e drammaturgia romantica e differenza degli altri interpreti che oltre a soffrire il raffronto recitativo con la nostra connazionale, non trovano sempre un punto di quilibrio tra queste due anime. Dove un personaggio può vivere? Nella realtà o nelle due ore di teatro? Questa è la domanda di Renoir e cui si troverà una risposta. Scarso successo di pubblico e di critica ingiusto, con delle eccezioni come quella della stampa francese specie di Truffaut che considera la pellicola un capolavoro, anche se bisogna comunque dire che la Carrozza d'Oro soffre probabilmente di limiti di soggetto per un cinema come quello di Renoir forse divenuto eccessivamente teorizzante e le cui conclusioni in materia, avevano trovato risultati nettamente superiori nella Regola del Gioco.
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