Regia di Woody Allen vedi scheda film
Un buon film per cogliere la visione della vita di Allen, che non a caso viene da molti considerata una visione della vita tra le più caratteristiche del ‘900.
Non è un film perfetto: si avvita troppo in riferimenti onirici poco comprensibili, tanto quanto sull’autocelebrazione. È senza trama: ma ciò, lungi dall’essere un difetto, è una qualità, poiché mostra l’universo interiore del singolo, privo di riferimenti. Il protagonista rincorre continuamente il fascino di ciò che piace, che ha una connotazione inconfondibilmente sessuale: il che lo lascia sempre incostante, incapace di ordine e di scelte corrette e coerenti. Oltre a questo sballottamento dovuto alla sessualità, c’è lo sballottamento esistenziale: non si può percepire un senso positivo del mondo, sotto il profilo filosofico. A questa pregiudiziale, inevitabilmente pessimista, il regista reagisce in due modi: 1) ridere, come evasione, e 2) la compassione, intesa come compartecipazione alle pene altrui, e aiuto altrui nel sopportare le proprie.
Il ridere, autoironico, aiuta a vivere meglio. Ma la soluzione non è semplicistica: Allen mostra di dare la massima importanza, e nei toni più profondi, ai drammi interiori. Lo fa con una leggerezza che permette di renderne sopportabili anche i più laceranti. In questo incontro di difficoltà viventi, l’amore ha il suo ruolo più nobile: due o più sofferenze che cercano di trovare il modo di lenire i propri dolori. E lo fanno giocando: cioè senza dare e darsi più importanza di quanto ne richiede la realtà dei fatti sperimentati sin lì, su sé stesso e il partner.
Ma il pessimismo è ancora dietro l’angolo (e per fortuna non tutti sono vissuti in questa maniera): l’uomo è fatti in modo tale che non riuscirà a dare seguito e corpo, sulla lunga distanza, a questa fragile alleanza con il partner. Sono le sue stesse debolezze che lo porteranno, fatalmente, a sbagliare, e a rovinare la propria vita sentimentale, e a sostituire vecchi errori con nuovi errori.
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