Regia di Joel Coen vedi scheda film
Fargo è il film più divertente che io abbia mai visto.
Fargo è il film più disperato che io abbia mai visto.
Trama.
La vicenda si svolge durante un rigidissimo inverno del 1987 a Minneapolis nel Minnesota e racconta l’ennesima storia coeniana di un truffatore imbranato che si attorciglia attorno ad un suo scombinato imbroglio.
Il cretino di turno è Jerry Lundegaard, rivenditore di auto: un fallito indebitato fino al collo, un perdente che non accettando la sua mediocre condizione progetta di rapinare la moglie per chiedere il riscatto al suocero che è anche il suo datore di lavoro.
Da perfetto casinista qual è, sicuramente ispirato dalla spazzatura televisiva di cui si nutre nelle sere di noia (il film è disseminato di televisori accesi), ingaggia due delinquenti da strapazzo in una bettola di Fargo, una cittadina del vicino North Dakota e affida loro l’incarico promettendo in cambio l’auto (senza targa) che mette a disposizione per la rapina e, alla fine, la metà del riscatto (che dichiara di 80.000 dollari mentre la richiesta reale è di un milione).
I due balordi, il glaciale e psicopatico Gaear e il nevrotico e logorroico Carl (il sempre inquietante Steve Buscemi), riescono in qualche modo a rapire la donna. Lungo la strada del ritorno però si fanno beccare dalla polizia con l’ostaggio in macchina: Gaear spara all’agente e poi insegue e ammazza anche due testimoni di passaggio.
Entra in gioco Marge Gunderson (la fantastica Francis McDormand, che nella realtà è moglie di Joel Coen), capo della polizia di Fargo. Nonostante sia al settimo mese di gravidanza, apre le indagini e le conduce con perspicacia e caparbietà: spostandosi tra Fargo e Minneapolis interroga alcuni sospettati e riesce a metterli in allarme. Carl, sentendosi pressato, pretende da Jerry il pagamento immediato del riscatto; Jerry vorrebbe gestire la negoziazione, ma il coriaceo suocero lo considera un incapace e vuole risolvere lui la faccenda ed effettuare la consegna di persona. Incontra Carl in un parcheggio; non vedendo la figlia, reagisce; Carl, che aspettava Jerry, lo ammazza e rimane ferito, però riesce a portarsi via il malloppo. Lungo la strada, nel mezzo di una tormenta, seppellisce il bottino sotto la neve.
Marge intanto torna nella concessionaria per interrogare Jerry che scappa aggravando i sospetti.
Nel frattempo Carl raggiunge il complice e scopre che ha ammazzato la moglie di Jerry (perché non la smetteva di starnazzare): fra i due scoppia una lite e Carl ha la peggio: Gaear lo ammazza spaccandogli la testa con il primo attrezzo che gli capita per mano, poi lo porta fuori e decide di disintegrarlo in una macchina tritarami.
Marge, che sta rientrando a Fargo, passa lì davanti e vede l’auto senza targa parcheggiata davanti al casolare, si ferma, si avvicina con circospezione e vede Gaear che sta triturando il cadavere di Carl. Gaear, intento a sminuzzare la gamba del complice nella cippatrice che fa un fracasso infernale, non vede e non sente Marge che gli intima il “mani in alto”; e quando si accorge di lei che gli spiana contro la pistola, scappa a gambe levate, ma Marge gli spara, lo ferisce e lo arresta.
La tragedia della stupidità
I fratelli Coen ancora una volta raccontano la tragedia della stupidità, la farsa feroce dell’uomo comune, mediocre e insignificante, il melodramma della crudeltà che si annida nella testa di individui apparentemente normali.
Ci informano che l’uomo qualunque è capace di tutto, ma non di calcolare le conseguenze delle sue macchinazioni; che sa concepire gli intrighi più squinternati per rimanerne invariabilmente accalappiato.
In Fargo un uomo noioso che vive una vita piatta sfiora appena il primo pezzo di una catena di tessere senza minimamente immaginare le conseguenze e il crollo inarrestabile, dopo un imprevedibile itinerario, franerà su di lui.
Il suo piano, in teoria, dovrebbe filare liscio come l’olio, senza intoppi, senza sorprese, senza spargimenti di sangue. Ma gli esecutori che sceglie, al minimo intoppo, hanno le reazioni più istintive e cercano i rimedi più sbrigativi.
Quando scatta un primo gesto di violenza, un colpo di pistola sparato ad un poliziotto che controlla i documenti sulla strada, la brutalità va fuori controllo ed esplode inarrestabile, la rovina devasta tutti e tutto, e dal finto rapimento si arriva all’ascia che schianta una testa, al trituratore che frantuma arti smembrati.
Nella più totale apatia degli assassini che ammazzano senza una strategia del delitto, come per caso, come se non potessero fare a meno, con fredda imperturbabilità.
Nella più totale impassibilità dei mandanti, delle vittime, dei testimoni occasionali, degli investigatori.
Tutto sembra accadere per caso, in un’altra dimensione.
I cattivi si comportano come i cattivi dei film, senza farsi coivolgere. Recitano una parte, senza troppa convinzione.
Tutto appare troppo cinematografico e - paradossalmente - troppo vero.
Il pasticcione fa pasticci, il chiacchierone chiacchiera, il torvo guarda storto, l’isterica recalcitra. Testimoniano la paradossale verità della finzione. La vita come la commedia grottesca, il teatro dell’assurdo come l'esistenza.
Una scritta all’inizio del film ci avverte che si tratta di una storia vera. La didascalia è necessaria perché la storia che introduce non ha niente di verosimile, è inquietante nella sua incoerenza, strampalata fino a sembrare delirante.
A contrasto, abbiamo la serafica normalità della poliziotta incinta - una impassibile Frances McDormand (distaccata almeno quanto i Coen) - che cerca la quotidianità in mezzo ai più incredibili accadimenti; che salvaguarda il suo equilibrio prendendo le distanze dal macabro che incombe (emblematica la scena in cui fa il suo spuntino da gestante sempre affamata sfogliando le foto dei cadaveri); che vuole fermare l’inarrestabile per tornare alle sue tisane.
L’ambientazione da paesaggio siberiano rende tutto più straniante.
Il bianco è il colore dell’irrealtà: e qui è bianca la neve, smunto il cielo gelido, candido assoluto l’orizzonte, meravigliosamente lattescenti gli abbacinanti panorami.
La neve copre e nasconde tutto, non solo i dollari del riscatto. Congela. Mimetizza la ottusa stupidità di Jerry, la sua ossessione per i soldi, la sua cinica finta gentilezza, l’acida noncuranza per la vita degli altri. Ovatta i rumori delle armi che sparano o delle lame che lacerano. Copre le impronte dei delinquenti che si spostano fra le case o nelle pianure innevate. Occulta i poliziotti che percorrono tragitti separati e solo per caso incrociano i criminali. Cancella il sangue delle vittime. Restituisce l’insignificanza quotidiana al mondo.
“Dov’è la logica?”, si chiede Marge di fronte a quel che vede accadere.
E noi ci chiediamo qual è il confine tra il comico e il tragico, fra il calcolo e la casualità, fra la normalità e la malvagità. E ci domandiamo fino a che punto può arrivare l’orrore del quotidiano (presente in tutti i film dei Coen, a partire da Blood simple).
Il sospetto che sorge è che l’orrore sanguinario, non molto distante dall’incubo opaco della normalità casalinga, diventerà impercepita consuetudine.
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