Regia di Joel Coen vedi scheda film
Fargo dei fratelli Coen (1996), secondo la critica risulta essere l'apice della filmografia di tali registi, ma a conti fatti a distanza di 20 anni è ora di tirare le somme e dire le cose come stanno, la pellicola è stata forse un po' troppo pompata per quanto sia ottima.
Sicuramente l'elemento che sovrasta visivamente tutto il resto, ed è il bianco, un colore che in Fargo assume una molteplicità di sfumature, metafore e significati; nonché un elemento esteticamente neutro, totalizzante ed infinito, ma capace di combinare al suo interno anche opposte metafore visive come l'inferno e la purezza.
La forza espressiva della neve all'interno del film, fa' si che essa assurga a personaggio autonomo della pellicola, divenendo testimone silente di una (mediocre) messa in scena truffaldina piccolo borghese, che purtroppo andrà sempre per il peggio lungo il suo sviluppo, portando a poco a poco sempre più violenza.
La neve di Fargo è un elemento silente che non giudica nessuno e anzi; si può dire che essa sia una tela bianca d'artista sempre uguale a sé stessa, la cui forma sarà plasmata dai vari pittori che saranno protagonisti delle varie vicende.
Questo elemento così puro, silente e glaciale, meritava senz'altro un contrasto nettamente migliore rispetto a quello dataci dai Coen, che mettono in scena la totale scempiaggine dei personaggi principali, così insulsi e maldestri da scadere nella macchietta; questa cosa andrebbe benissimo con pellicole che sono volutamente una sorta di alta "parodia" di un genere "sacro", ma qui mal si adatta al tono cupo di una pellicola come Fargo, la quale vuole essere un apologo glaciale sull'inutilità (e sull'imbecillità) della violenza (che, non a caso, qui ci viene mostrata nella sua forma più gretta ed infima, ovvero in una dimensione "micro": famiglia, piccola città etc...) dovrebbe essere asettico e raggelante e non ridicolo.
Nonostante la discrasia tra potenza raffigurativa della neve e tono di parte della narrazione, il tocco nella scrittura dei personaggi (tranne uno), non manca a cominciare dai due rapitori interpretati da Steve Buscemi e Peter Stormare, che contrastano altamente con i loro caratteri, il primo è logorroico e circolare nei suoi discorsi i quali forse a lungo andare girano continuamente troppo su sé stessi (un tentativo non troppo riuscito di emulare la scrittura di Tarantino che da voce alle nevrosi dei suoi personaggi?), mentre il secondo è silenzioso e immerso in una totale stasi contemplativa sino a quasi all'alienazione che improvvisamente però si interrompe con improvvise esplosioni di violenza terrificante, che tingono di copioso rosso acceso, la magnifica tela bianca di questo paese di provuncia del Minnesota. Molto meno interessanti il personaggio di Frances McDormand, un'attrice esageratamente sopravvalutata per questa perfomance, la quale carica troppo il suo personaggio con un'interpretazione di maniera che rovina in parte la magnifica tela d'artista, per poi uscirsene con un fastidioso discorso didascalico sulla non logicita' della faccenda perché tutta questa violenza s'è consumata per una manciata di soldi; il suo personaggio dell'investigatore incinta sovverte le regole del noir questo è vero, ma aggiunge un tocco di buonismo insopportabile ad una vicenda che doveva restare cupa e senza speranza (Il futuro bambino) sino alla fine.
Ottimi anche H. Macy nei panni dell'impiegato piccolo borghese e il suo avido suocero portato in scena da Presnell, il cui milione del riscatto farà una fine molto Hitchcockiana alla Psycho.
Osannato a capolavoro dalla critica, è ora di abbassare l'entusiasmo a giudicarlo come ottimo film e un leggerissimo passo indietro rispetto alla compostezza formale-narrativa dello splendido Crocevia della Morte (1990). Ebbe varie nomination agli Oscar ma perse contro Il Paziente Inglese (non visto), vincendo per sceneggiatura e miglior attrice protagonista (regalata nomination e statuetta, mentre attrici come Close ancora a zero...); più fortunato in Europa con il premio a Cannes per la miglior regia.
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