Regia di Joel Coen vedi scheda film
Jerry Lundegaard (William J.Macy) è il responsabile delle vendite di un avviato salone automobilistico. E' oberato di debiti e per risolvere il suo problema pensa bene di contattare Carl e Gaear ( Steve Buscemi e Peter Stormare) per far sequestrare la moglie (Kristin Rudrüd) e intascare i soldi del riscatto sborsati dal ricchissimo suocero (Hrve Presnell). Ma il piano si complica oltre misura perchè una serie di persone, capitate sventuratamente lungo il cammino dei due balordi, trasformano un "semplice" sequestro in una carneficina.
La virulenza della morte può avere anche le fattezze beffarde del caso ingannatore. E' quanto accade in questo magnifico film dei fratelli Coen, un noir ammantato di sagace ironia dove al cinismo di persone avide di potere e denaro si contrappone il dolce fluire delle cose quotidiane. E' un noir in bianco (mi si passi l'ossimoro) e non solo perchè è immerso nel bellissimo paesaggio innevato del North Dakota, ma anche, e soprattutto, perchè su tutta la varia umanità che popola il film, sui cattivi imprigionati nei loro progetti di morte e sui buoni immersi nelle loro continue dissertazioni sulle condizioni metareologiche, si erge solinga la forma rotondeggiante della solerte Marge Gunderson (Frances McDormand), un'agente di polizia al settimo mese di gravidanza. La regia dei Coen (premiata a Cannes) rasenta la perfezione per come equilibra mirabilmente il pathos generato dalla morte dispensata a piene mani dai due goffi criminali e il sorriso indotto dalla miriade di stramberie che si odono e si vedono. Da ciò ne deriva un film che tra il serio e il faceto indaga sullo stato di salute della middle class statunitense, sui suoi valori fondativi (successo sul lavoro, famiglia) e ne rileva il corto circuito in un tempo in cui il cinismo individualista ha assunto la gratuità della morte come un suo logico e naturale corollario. Per qualche migliaia di dollari si mette in preventivo la morte di vite umane, un lascito di sangue di inestinguibile assurdità. Tutto può accadere quando si perdono le coordinate che portono al giusto valore da dare alle cose, anche che la morte giunga per un concorso di cause banali o che vi sia più slancio emotivo quando si guarda la televisione (molto presente nel film) che a contatto con un essere umano. "Fargo" è un film pervaso di profondo pessimismo dove la banalità che lo percorre è il frutto di una mediocrità umana che riguarda proprio tutti, tanto gli agenti del male, con la loro maldestra insensibilità alla vita, quanto gli agenti del bene, persi nelle loro routinanti incombenze. Certo è che c'è molta differenza tra gli effetti prodotti dagli uni da quelli prodotti dagli altri e pare superfluo rimarcarla, ma quello che interessa ai Coen è la mediocrità in se, il fatto che la sua generale regolarizzazione ha prodotto quell'assolutamente indifferenziato in cui tutto appare indistinto, sbiadito, incclassificabile secondo precisi criteri etici. La differenza sostanziale sta negli accadimenti delle cose in se ma tutti sono partecipi di quella generale aridità emotiva che li pianta al punto delle loro abitudini consolidate. E' come se quell'accumulo di neve avesse congelato tutto e tutti (si noti che tutti i nomi dei protagonisti sono di derivazione nordeuropea). I Coen sembrano suggerirci che l'aspetto tragico sta nel fatto che alla banalità del male si contrappone la semplice ordinarietà del bene. Credo che "Fargo" sia un grande film, uno dei migliori dei fratelli di Minneapolis che qui danno prova di grande abilità nel mischiare i generi e dosare nel giusto modo i diversi registri interpretativi. Grandi tutti gli attori dove Frances McDormand forse vince di poco ai punti sugli ottimi William H.Macy, Steve Buscemi e Peter Stormare. A completare il quadro ci sono una serie di buoni comprimari del tutto funzionali per questa divertita rappresentazione della tragica stupidità umana.
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