Regia di Luigi Cozzi vedi scheda film
L'ultima follia cinematografica ad oggi in capo al cosiddetto (oltre che autocitato) "Ed Wood italiano" Luigi Cozzi, ci trasporta lungo un mistero il cui alice si annida nella storia che coinvolge i padri dell'invenzione cinematografica.
Una storia, più o meno vera, vuole che nella Francia del 1890, il primo inventore della cinepresa fu tal Louis Le Prince.
Costui, dopo aver tentato di brevettare una macchina per filmare le immagini in movimento e proiettarle su uno schermo, scomparve proprio nel viaggio in treno destinato a condurlo all'ufficio brevetti. Nemmeno cinque anni più tardi, sempre in Francia, i fratelli Lumière di Lione brevettarono una macchina di per sé rivoluzionaria, ma agli effetti pratici molto simile a quella di Le Prince, che nattezzarono col nome di "Cinematographe".
Quel 1895, e non il 1890, è universalmente considerato come la data ufficiale della nascita del cinema.
Ma cos'è successo a Louis Le Prince?
Dove sono finiti lui e la sua invenzione?
Cozzi ce lo racconta, si fa per dire, spostando il mistero sul terzo grande nome significativo per il cinema, soprattutto quello a carattere narrativo e fantastico, ovvero su Georges Méliès.
E diventando egli stesso il protagonista e la vittima di una inchiesta destinata a dare una svolta ai misteri "cosmici" che stanno dietro quell'intrigo misterioso sottostante la preziosa invenzione di fine '800.
La storia, concepita come un thriller fantascientifico dagli insistiti risvolti horror ed una ambientazione "casalinga" che spazia tra l'abitazione (presunta tale) di un Luigi Cozzi che si diverte ad interpretare se stesso e il negozio-museo tematico Profondo rosso di via dei Gracchi a Roma, che lo stesso manda avanti tra memorabilia e commercio di dvd a contenuto di genere.
La trama dell'ultima sulfurea e balorda impresa di Cozzi sarebbe stata perfetta in mano ad un regista capace ed abituato a giostrarsi con budget e mezzi di un certo livello.
Senza pretendere Scorsese, già vicino a tematiche similari col suo nostalgico ed indimenticato Hugo Cabaret, il film di Luigi Cozzi in mani meno disordinate, avrebbe potuto produrre qualcosa di piuttosto inconsueto ed originale.
La versione "de noantri" di Cozzi, nella sua esasperante follia, nonostante le lungaggini insulse con cui si intervalla la fumosa vicenda, lascia tuttavia spazio ad una sorta di vena autobiografica, anche un po' puerilmente autocelebrativa, che non può non fare sorridere ma in fondo anche divertire.
Certo una versione un po' più agile ed accuratamente tagliata da eccessive lungaggini o autocitazioni di alcuni adorabili, ma qualitativamente sciagurati film precedenti (Hercules con Ferrigno su tutti), avrebbe giovato ad un pastiche a cui non si riesce a non volere almeno un po' di bene.
Riprese degne di un filmino amatoriale da comunione, effetti speciali che paiono quelli di un ordinario cellulare made in China (con dovuto rispetto), contornano una vera e propria esperienza barocca e scassata che spesso diverte per la scanzonata ingenuità con cui tutto è stato concepito e portato a conclusione.
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